22. Tu non sei fatta per i guai

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Cheyenne
Questa mattina mi sono svegliata con il sorriso sulle labbra, e non mi capita mai. Il cuore mi batte forte nel petto mentre ripenso a quello che è successo ieri. Mi sembra ancora di sentire il respiro di Allen così vicino da fondersi col mio e la sua bocca morbida catturare le mie labbra. Nel profondo so che quello che abbiamo fatto è sbagliato e non ha futuro, ma per ora non voglio ascoltare la voce della ragione.
Balzo giù dal letto con insolita energia e, dopo essermi recata in bagno per lavarmi, indosso un paio di jeans e un maglione della mia infinita collezione firmata Tommy Hilfiger, tutti regali di mia madre. Scendo al piano inferiore e attraverso il corridoio che porta alla sala da pranzo, dove scorgo mio padre e mia sorella chiacchierare prima della colazione.
«Cheyenne.» Mentre vado verso di loro la voce di mia madre mi blocca sulla porta della cucina, che stavo oltrepassando. Entro timorosa al suo interno, e all'istante il buonumore vola lontano. Non mi guarda, sta sfogliando un catalogo di alta moda. Mi siedo di fronte a lei con la tensione che accalappia ogni muscolo. Mi stava aspettando, ne sono sicura. Come una lenta tortura sfoglia ancora un paio di pagine, poi chiude con dolorosa lentezza la rivista e la poggia sul tavolo, infine alza lo sguardo su di me. L'espressione sembra indifferente come sempre, ma per me che la conosco è evidente anche una nota di fastidio. Deglutisco a vuoto. Che abbia scoperto ciò che è successo ieri?
«Cosa ti avevo detto?» il tono è duro, ma si guarda bene dal non perdere le staffe. L'autocontrollo è una caratteristica marcata Leroy. Non rispondo, ho paura di dove voglia andare a parare. «Ti avevo detto che c'erano i giornalisti e di comportarti a modo, e tu che fai? Sparisci a metà serata. Abbiamo dovuto fare la foto per il New York Times senza di te.»
«Mi dispiace» mormoro, in realtà non è vero, ma non posso dirglielo. Non me ne frega un bel niente della loro stupida fotografia.
«No che non ti dispiace, Cheyenne» ribatte, dura. Mi mordo la lingua, lei prende un profondo respiro e recupera la calma. «Non ti chiederò dov'eri e come sei tornata a casa ieri sera, perché non voglio saperlo, per questa volta lascerò correre, ma voglio avvertirti.» Deglutisco di nuovo a vuoto, ho le palpitazioni. «Stai alla larga da Allen James, capito? Non mi interessa se vuoi essere amica di sua sorella perché è una cheerleader, ma stai lontana da lui, quel ragazzo porta solo guai, e tu non sei fatta per i guai. Sono stata chiara?»
Mi mordo le labbra, la curiosità mi attanaglia le viscere subito dopo il sollievo di non essere stata scoperta proprio con le mani nel sacco, anche se è evidente che mia madre sospetta che la mia sparizione sia da associare alla presenza di Allen. «Cos'ha fatto per disgustarti così tanto?» Mi ricordo la sua espressione ieri sera al nostro tavolo quando lui è arrivato alla cena. Era di totale incredulità, ma nel senso in cui le sembrava inconcepibile come un individuo del genere potesse avere accesso a una serata di quel tipo.
«Non sono tenuta a darti alcun tipo di spiegazione, sono tua madre e fai quello che ti dico. La colazione sarà servita fra cinque minuti.» Con questa sentenza finale si alza e lascia la stanza. Rimango a fissare la parete di fronte a me, inebetita. Sapevo che quel bacio non avrebbe portato altro che guai, eppure ho lasciato che accadesse, anzi ne sono stata l'autrice. Ho ignorato la voce della mia ragione, ma mia madre ha svolto egregiamente il suo ruolo. E adesso? Sospiro e cerco di non pensarci, eppure è così difficile. Ho toccato il cielo con un dito e ora sono di nuovo all'Inferno. E non mi resta che bruciare fra le fiamme. All'improvviso non ho più fame, attraverso la porta che mia madre ha accostato vedo loro tre seduti attorno al tavolo, lei che indica ad Amélie qualcosa sul catalogo che stava sfogliando, e mio padre che sorride mentre sorseggia il caffè. A volte mi chiedo perché abbiano scelto di fare una seconda figlia, stavano bene, solo loro tre. Io non sono praticamente parte della famiglia. Sento una fitta all'altezza del cuore, ma la sopprimo e me ne torno in camera mia.

***

Sto carezzando Wendy mentre Lauren sistema alcuni libri sulle mensole durante la sua pausa. Forse è a causa della colazione mancata, ma non mi sento molto bene: ho dei lievi giramenti di testa e sento le palpebre pesanti. Mi ripeto che probabilmente non è nulla di grave, eppure quel bagno in piscina di ieri sera continua a farmi sospettare una possibile influenza. Pensare a ieri sera, in questo momento, è doloroso. Sento ancora sulla pelle il tocco delle mani di Allen. Non credo di aver superato la mia paura dell'acqua, ma di sicuro ho apprezzato il suo tentativo. Ripenso al discorso che mi ha fatto sul suo tatuaggio, le ali sotto l'ombelico: Io sono il mio angelo, il mio protettore, e potrò sempre contare su di me. Aveva detto che in realtà è una stupidaggine, perché per quanto ti possa ripetere il contrario, avrai sempre bisogno di qualcun altro. E io? Sarei disposta a rinunciare alla nostra amicizia, o a qualunque cosa il nostro rapporto rappresenti? Ho bisogno di Allen nella mia vita? Un capogiro più forte degli altri interrompe i miei interrogativi. Mi porto le mani alle tempie, infastidita.
«Cosa succede, Cheyenne?» gli occhi marroni di Lauren mi scrutano il volto sempre più nel dettaglio, man mano che si avvicina, ma io la vedo sfocata. Wendy si agita fra le mie braccia, come se percepisse il mio malumore. La sento lontana, il mal di testa, ora martellante, mi sta facendo esplodere le tempie, lo percepisco fin dentro al cervello.
«Penso di essermi presa l'influenza» decreto, con gli occhi chiusi porto le mani al volto e le poggio sulle guance, percependole incandescenti sotto le dita gelide come al solito. Sapevo che il tuffo in piscina di ieri avrebbe portato a questo, dovevo aspettarmelo.
«Forse te l'ha attaccata il belloccio, eh? Ho visto uno scambio particolarmente... intenso» ridacchia, ma io non sono affatto divertita. Mi ricordo che è stata lei ad aprire il cancello, e quindi deve aver assistito al nostro bacio, anche se quando sono entrata in casa ieri sera sia lei che Sam hanno fatto finta di niente e sono sparite nelle proprie camere.
«Mia madre mi ha proibito anche solo di guardarlo» mormoro, sento il cuore incrinarsi perché più lo dico ad alta voce più diventa vero.
Lauren mi prende con delicatezza il mento fra le dita e lo solleva, finché i suoi occhi dolci non afferrano i miei. «E chi se ne frega?» domanda, retorica. Scuoto con foga la testa, lei lascia andare il mio viso.
«Sai com'è fatta» scatto in piedi, barcollando leggermente, sento tutti i muscoli farmi male e allo stesso tempo irrequieti, come se mi spingessero a tenermi in movimento. Lauren mi sostiene per le spalle e sospira. «Vado a prendere il termometro.»
Non appena esce dalla stanza vado a sedermi sul letto, Wendy abbaia, poi si aggrappa alle lenzuola fino a salire sul letto e ad accoccolarsi contro le mie gambe incrociate, come a volermi consolare. Sospiro e prendo a carezzarle la testa, mentre lei abbassa le orecchie ogni volta che gliele sfioro.
Lauren torna poco dopo con una cioccolata calda fumante e il termometro, mi costringe a sdraiarmi sul suo letto e poi a misurare la febbre. Alla fine risulta che ho trentanove e mezzo. Me lo aspettavo, ma nonostante questo ho sperato per un attimo di essere bionica. Ora mi sento addirittura più distrutta di prima, ho solo voglia di rannicchiarmi su me stessa e piangere fino ad addormentarmi.
«Riposati un po', Cheyenne, e non dare troppo peso alle parole di tua madre, in fin dei conti non ha mai sospettato nulla fino ad ora» mi carezza i capelli provando a consolarmi, ma io so che non c'è nulla che possa veramente farmi sentire meglio adesso, nemmeno la tazza fumante sul comodino.
«Magari prima, ma adesso di sicuro sospetta, ha capito che c'è qualcosa, e io sono certa che non si arrenderà finché non l'avrà scoperto» esterno le mie ansie, ma Lauren mi fa segno di ignorarle per ora, poi resta con me a carezzarmi i capelli finché le palpebre non diventano pesanti. E crollo addormentata.
Quando mi sveglio dopo quella che mi sembra un'eternità non sono più nel letto di Lauren ma nel mio, tuttavia non sono abbastanza lucida per farmi domande. Il sole è calato fuori dalla finestra, e quando sposto lo sguardo sullo schermo del cellulare che si illumina ripetutamente sul comodino, mi accorgo che segna le sette di sera. Ci metto un po' a rendermi conto che mi stanno intasando di messaggi. Faccio lo sforzo di sollevare leggermente il busto dal letto, percependo tutti i muscoli indolenziti come se avessi corso una maratona, e vedo che il mittente è sempre Allen. Il cuore prende a battermi velocissimo, poi mi sprofonda nel petto. Senza leggerli torno a gettarmi contro il materasso. Adesso non ho la forza di affrontare la cosa. Resto un paio di minuti a fissare nel vuoto mentre i pensieri mi attanagliano il cervello; nell'ora successiva Lauren e Sam si alternano per venire a vedere come sto, e ogni volta che una di loro apre la porta faccio finta di dormire. Non ho proprio voglia di parlare con nessuno.
Quando è ormai ora di cena Lauren viene a "svegliarmi" con un piatto di brodo caldo.
«Come ti senti?» mi chiede, mentre mi aiuta a sistemare il cuscino dietro la schiena quando mi metto seduta, poggiata alla testiera del letto.
«Ho avuto giorni migliori» ironizzo, soffiando su un povero cucchiaio di brodo. Non ho fame per niente, anzi tutt'altro, eppure so che se non mangiassi Lauren mi assillerebbe all'infinito. Sento la testa che mi esplode per aver dormito tutto il pomeriggio e una spiacevole sensazione, come se il mio corpo fosse un panno sporco che ho indossato per pigiama e che ho tenuto addosso per tutto il giorno seguente. Quando lo dico a Lauren lei scoppia a ridere, ma giura di capirmi. Mi lascio sfuggire un piccolo sorriso, e lei ne sembra rincuorata.
«Vuoi che ti faccia compagnia oppure preferisci tornare a riposare?»
Con la coda dell'occhio vedo il telefono lampeggiare ancora sul comodino. «Vorrei rimanere da sola, grazie mille per tutto, Lauren.»
Mi dà un buffetto affettuoso sulla guancia poi riprende il vassoio su cui aveva poggiato il piatto di brodo. «Non c'è di che, tesoro, ti ho lasciato la medicina lì sul comodino assieme a un bicchiere d'acqua, ricordati di prenderla.»
«Va bene Lauren, buonanotte, grazie ancora.»
«Buonanotte, Cheyenne.»
Quando esce mi rendo conto di essermi dimenticata di chiederle come sono finita in camera mia, ma in realtà posso fare a meno di saperlo.
Continuo a rigirarmi nel letto per almeno un'altra mezz'ora, alla fine sono costretta a spegnere il cellulare perché la vibrazione mi impedisce di concentrarmi persino sui miei pensieri. So che ignorare Allen non è carino, eppure non so proprio come affrontare la cosa, come dirgli che tra noi non può esserci niente. E mi rendo conto che in realtà lo sto facendo per me, sto ritardando il momento in cui sarò costretta a lasciare andare qualcosa che non voglio assolutamente abbandonare, perché dopo dovrò trovare un nuovo equilibrio, e sarà dannatamente difficile. E io odio i cambiamenti.
Mentre fisso l'orlo della coperta con un braccio piegato sotto la nuca, le palpebre iniziano finalmente a farsi pesanti, ma il rumore leggero di nocche che sbattono sulla porta mi impedisce di addormentarmi.
«Avanti» dico piano, anche se non so effettivamente perché, non dovrebbe poi essere così tardi, e poi i miei sono dall'altra parte del corridoio, dietro una porta di legno massiccio, non mi sentirebbero mai, eppure la cautela che ha usato chi è dall'altra parte per bussare contro la mia porta mi ha indotta a sussurrare.
Quando la porta si apre, per poco non mi dimentico come si fa a respirare. Davanti a me c'è Allen, in tutta la sua altezza, che torreggia sulla mia figura rannicchiata nel letto, con gli occhi cerchiati di nero e sgranati, i vestiti neri come il suo umore appiccicati addosso per la pioggia. Effettivamente in questo – apparente – idilliaco silenzio la sento con distinzione colpire il tetto. Riprendo a respirare, deve essere un'allucinazione data dalla febbre.
«Ho provato a fermarlo» Sam spunta timidamente da dietro la sua schiena, sembra così bassa in confronto a lui. «Ma voleva assolutamente parlare con te... vi lascio?»
Annuisco, stordita, non so davvero cosa dire né pensare, non capisco nemmeno se questo sia un mio sogno o la realtà. Sam annuisce e si chiude la porta alle spalle. Rimaniamo solo io e lui, Allen che mi guarda senza dire niente, con quegli occhi stralunati, come se faticasse soltanto a capacitarsi di avermi di fronte a sé, io ancora più sbalordita.
«Ti verrà un colpo... sei venuto a piedi?» decido di rompere il ghiaccio, aiutata dall'autoconvinzione che non sia lui ma solo una mia allucinazione.
«Perché non hai risposto a nessuna delle mie chiamate o dei miei messaggi?» Persino la voce è stralunata, stanca, fioca, come se avesse urlato per ore di fila. E forse lo ha fatto, sarebbe una cosa da Allen James.
«Perché sei fradicio, Allen? Hai la macchina, sei venuto a piedi?» ripeto, per ritardare quel punto del discorso.
«Ho aspettato sotto la pioggia di fronte casa tua prima di decidere cosa fare.»
«Perché?»
«Perché non sapevo cosa fare» sembra un automa, e la cosa mi spaventa.
«Stai... bene?» sussurro, sono tentata di sporgermi sul letto e toccargli una guancia, ma subito riemerge il ricordo del nostro bacio. Neanche a farlo apposta lui è bellissimo, con quegli occhi scuri e la barba leggermente lunga.
«Tu?» Nessuno dei due ha veramente risposto a nessuna domanda che ci siamo posti, come se non riuscissimo a trovare quel punto di connessione che prima era tanto chiaro a entrambi, come se parlassimo due lingue diverse.
«Scusa se non ti ho risposto, stavo male.» Questo sembra destarlo dal suo stato di trance. Stringe i pugni e contrae la mascella.
«Stavi così male da non poter mandare un singolo messaggio?»
«Cosa?» replico, sbalordita dalla sua aggressività. È vero, ho scelto di non rispondergli perché non sapevo cosa dirgli, ma non mi sembra una tragedia.
«Mi hai sentito.»
«Qual è il tuo problema, Allen?» cerco di controllare il tono di voce, ma non è facile.
«Cosa c'è che non va?» ora il suo sguardo è supplichevole, come se pendesse dalle mie labbra.
«Niente, sto male! Per colpa tua, se proprio vuoi saperla tutta... e del tuo tuffo in piscina!» provo a sdrammatizzare, ma lo vedo che è scettico.
«È solo questo? Mi vuoi dire che il bacio non c'entra niente?»
Non pensavo sarebbe stato così diretto, anzi forse avrei dovuto aspettarmelo, ma non l'ho fatto. E ora ne pago le conseguenze. Non riesco a sopprimere un guizzo della mascella, e Allen capisce che sto mentendo, o almeno ne ha la conferma. Sono sicura che l'ha capito da un pezzo.
«Potrebbe...»
«E allora parlami, Cheyenne! Te l'ho detto già: non vorrei che le cose diventassero ambigue tra di noi» mi esorta con un'alzata di spalle, e si avvicina di più al letto. Nel frattempo mi metto seduta per evitare di guardarlo direttamente negli occhi.
«Mia madre sospetta di noi» confesso.
«E lascia che sospetti, chi se ne frega!»
Alzo lo sguardo su di lui, sbigottita. Perché mi dicono tutti la stessa cosa? «Ma ti senti, Allen? Non posso permettermelo, e lo sai! Io non ho nulla da offrirti.»
Lui emette una bassa risata che di divertito non ha nulla. Incrocia le braccia al petto, la felpa si tende sulle spalle. «Tu non vuoi permettertelo, è diverso, e sto cercando ancora di capire perché.»
«Non c'è niente da capire!» replico, stizzita. Mi alzo di scatto dal letto e ho un leggero capogiro. Mi ci mancava solo l'influenza. «Prima ti stava bene, anzi era quasi divertente fare gli adolescenti ribelli, ora cosa è cambiato?»
Allen scuote la testa e sospira, cominciando ad avvicinarsi alla porta.
«Allen!» lo richiamo, poi mi ricordo di abbassare la voce. «Cosa è cambiato?»
Lui fa un profondo sospiro, poi si volta lentamente verso di me. Impiega qualche secondo prima di guardarmi negli occhi, ma quando lo fa lo capisco ancor prima che lo dica. E vorrei non aver mai posto questa domanda. «I miei sentimenti per te.» Faccio un passo indietro, come se la sua affermazione mi avesse schiaffeggiata. Deglutisco a vuoto, e non so davvero cosa dire. Lui scuote la testa con un sorriso amaro. «E a quanto vedo solo i miei, quindi direi che possiamo anche chiuderla qui, così tu potrai tornare alla tua vita perfetta e io alla mia...»
«Aspetta» sussurro mentre abbassa la maniglia, ma lui non mi sente, o forse non vuole farlo. All'improvviso sento le lacrime riempirmi gli occhi, e dannazione Cheyenne Leroy non piange mai. L'influenza mi rende debole. «Aspetta» ripeto, più risoluta. Lui toglie la mano dalla maniglia.
«Cosa, Cheyenne? Che tu trovi un po' di coraggio per fare quello che vuoi davvero?»
Le sue affermazioni mi feriscono, perché toccano tutti i tasti dei miei dubbi e delle mie insicurezze. Ora che ce l'ho davanti e lo sto perdendo, conosco la risposta alla domanda di prima. Ho bisogno di Allen nella mia vita.
«Mia madre mi ha vietato anche solo di parlare con te, e adesso sei qui, in casa mia, nella mia camera, eppure non ti ho ancora cacciato, non pensi che stia cominciando a trovarlo, quel dannato coraggio?!»
Lui si volta lentamente e mi fissa. «No.»
La sua risposta è come uno schiaffo in faccia. «Vuoi buttare via tutto questo?»
«È quello che hai detto tu nemmeno un minuto fa, Cheyenne!» Si sta arrabbiando, e lo capisco, ma davvero non so se sono disposta a rischiare tutto.
«Prova a capirmi, ti prego! Non sono mai stata la preferita di mia madre, a malapena tollera che io viva sotto il suo stesso tetto, non vorrei buttare via quel poco di fiducia che ha in me, ma non voglio nemmeno perderti!» Deglutisco il groppo che ho in gola, non piangerò per nessuna ragione al mondo. Allen si avvicina a me, non mi tocca ma è come se i suoi occhi scuri lo stessero facendo.
«E se quello che c'è stato dovesse evolversi? Io non voglio vivere nell'ombra per sempre perché tu non hai il coraggio di dire a tua madre che non sei come lei vuole che tu sia, e a me piaci Cheyenne, mi piace quel tuo lato da ragazza libera e spensierata, e ho la presunzione di credere di piacerti, ma ho visto per troppi anni mia madre vivere nell'ombra di mio padre, e mi dispiace ma non voglio subire la stessa sorte.»
Non so cosa provo, non so se potrebbe evolversi o retrogradare, non so assolutamente niente, ma la cosa più incredibile è come lui, che finora mi ha insegnato a vivere senza certezze, ne stia cercando proprio una in questo momento, mentre io sono disposta a lasciarmele tutte alle spalle. Gli afferro la mano, sorpresa persino io dalla mia stessa impulsività. «Vuoi fare un salto nel vuoto?»
Allen sembra sconvolto dalla mia proposta, come se fosse l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato. «Non... non lo so, Cheyenne» scuote la testa, visibilmente in difficoltà. «Credo sia meglio che questi... sentimenti svaniscano, e stare ancora con te non li aiuterà a farlo.»
Devo fermarlo, devo provare a dargli una certezza. «Non ti ferirò, te lo prometto, Allen... hai ragione, anche tu mi piaci, ma non possiamo stare insieme...» Tuttavia devo essere anche onesta. La minaccia di mia madre è stata più che chiara, e mi sono già spinta troppo oltre: l'amicizia di Allen, la festa a cui ci siamo ubriacati, le bugie, Cold Spring, la serata di gala, il bagno in piscina... il bacio, e, per non dimenticare, lui qui, stasera, nella mia camera, a poche ore dal suo avvertimento. Ho rischiato troppo, e lui non riesce a capire che se supererò il limite c'è il rischio che io lo perda davvero, e non voglio. Sei un'egoista, mi sussurra la voce nella mia testa, e lo so dannazione, ma per una volta voglio fare qualcosa che renda felice me, e non gli altri, e poi sto lasciando ad Allen la possibilità di scegliere. Sapere che fra noi non potrà mai esserci niente mi fa male, ma di sicuro meno dell'idea di perderlo, non mi sono mai sentita così viva come in questo mese e mezzo passato con lui. Ne ho bisogno, ora lo so.
«Non condivido la tua decisione, ma la accetto» sospira, rassegnato.
«Che significa?»
«Che possiamo continuare ad essere amici, Cheyenne... Dio, so che mi pentirò di questa decisione, eppure... c'è qualcosa in te... non lo so, è tutta colpa di Francisco e di quello stupido test» borbotta cose senza senso, ma io mi sono fermata alla prima parte della frase. Gli salto al collo, e per poco non lo faccio finire a terra.
«Non sono mai stata così contenta di essere friendzonata per ben due volte nella mia vita!» esclamo. Lui ridacchia. So che sarà difficile, mi ha detto di piacergli, gli ho confessato che ricambio i suoi sentimenti, ma possiamo farcela, e chissà... magari un giorno...
«Magari...» sussurro piano.
«Hai detto qualcosa?»
Scuoto la testa. La pazienza di questo ragazzo è incredibile. Gli piaccio, eppure ha accettato di rimanere mio amico. Una lacrima mi scivola lungo la guancia, ma la asciugo prima che lui possa vederla. A quanto pare anche Cheyenne Leroy piange.
«Ehi, Cheyenne...» mi chiama.
«Mmh?» mormoro con gli occhi chiusi, il suono attutito dalla sua felpa umida. Mi allontana da sé per guardarmi negli occhi, e nel farlo mi circonda il volto con le mani. Aggrotto le sopracciglia, mentre il cuore inizia a battermi alla velocità della luce.
«Amici, quindi?»
«Sì, amici» annuisco. Lui fa un sorriso furbo.
«A partire da domani.»
E si fionda sulle mie labbra.
Dannazione, James!

Ciao fiori di campo!🙊

*sbuca timidamente fuori da un angolo*
Come state? Nessuna scusa al mondo potrebbe giustificarmi, ma la scuola mi sta distruggendo... se Dio vuole ancora un anno e poi sarà tutto finito... non vedo l'ora!

Comunque ho già in mente una bella sorpresina per Natale, che comprende tanti, taaaanti capitoli! State pronti, che quest'anno Babbo Natale porterà tanti regali 😏

Un capitolo un po' agrodolce, che ne pensate?

Siete contenti del fatto che Allen e Cheyenne siano di nuovo insieme ma... non insieme?

Credete che in futuro avranno una possibilità oppure no? Mrs Leroy li scoprirà prima o poi?

E cosa prova veramente Allen? E la stessa Cheyenne? Sta solo cercando di sminuire i propri sentimenti?

Fatemi sentire un po' di affetto per il mio ritorno tanto atteso ❤️

Ci vediamo al prossimo capitolo!🔜

-A

Misfits - DisadattatiWhere stories live. Discover now