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Thomas osservava il soffitto buio della camera in cui soggiornava non riuscendo a prendere sonno, avvolto in pensieri lugubri, ansiogeni che pian piano lo stavano racchiudendo e bloccando in qualcosa più grande di lui. Il roscio prese un grande respiro e si mosse in un cigolio della rete del letto, rigirandosi e rigirandosi fra le varie lenzuola, cercando in tutti modi di chiudere gli occhi in quell'abisso nero che lo circondava annebbiandogli la vista e riempiendo i polmoni d'acqua scura, nera.

«Thomas, sto cercando di dormire» lo riprese Atlas in uno sbuffo, girandosi verso la figura del roscio e sistemandosi la maglia che si era leggermente alzata.
Thomas sbuffò e si mise a sedere portando le gambe al petto, respirando pesantemente contro le ginocchia bianche

«scusa» sussurrò, Thomas, con un filo di voce, lasciando che Atlas accendesse la luce sul suo comodino, scombussolato dal sonno, ma abbastanza lucido per capire a pieno la situazione.

«Thomas» lo chiamò occhi foglia con voce morbida, osservando la figura del ragazzo con lentezza, come se ne stesse studiando ogni movimento per procedere nel modo più corretto possibile

«Ats...» lo chiamò con un filo di voce, Thomas, sentendo gli occhi bagnarsi ed il cuore palpitare frenetico, nero come il carbone. Atlas si stupì per l'abbreviazione del suo nome, sentendo il suo cuore, colorato, palpitare frenetico e le guance prendere vita in un rosso caldo, vivido che lo fece fremere di gioia, gioia che non seppe riconoscere.
Il roscio tossì contro le gambe sottili, cercando di trattenere le lacrime calde, scure ed i fremiti sconnessi, impantanandosi, così, in una ragnetela spessa di pensieri taglienti, pronti per affondare la loro lama.

«Thomas, poggia la schiena contro la testata del letto» esclamò il biondo alzandosi dal letto ed inginocchiandosi vicino al corpo di Thomas, spingendogli il petto con una mano che, il roscio, afferrò e strinse con tutta la sua forza pur di non piangere in quel respiro affannato, pesante.

«guardami, Thomas» fu morbido, Atlas, alzandogli il volto con due dita ed osservando il verde scuro, spento, del nostro protagonista, cadendo perfettamente in quel colore rigido, impaurito da un futuro incerto e da un presente tagliente, difficile, che gli stava lacerando il corpo giorno dopo giorno e notte dopo notte fino a perdere completamente la cognizione del tempo, fino a perdere ogni accenno di felicità intorno a lui. Atlas cadde in quel colore guardando dentro il verde del ragazzo, osservandone il nero penetrante che pian piano rosicchiava ogni spiraglio di luce che quel verde creava stramato dai mostri che gli abitavano dentro.

«piangi... Io sono qui» gli sussurrò a fior di labbra, Atlas, spaventato da quel nero che prima stentava a vedere, ma che in quel momento osservava ad occhi spianati cercando di colorarlo, di staccarlo dal corpo soccitto di Thomas.
Il roscio lo guardò con labbra aperte ed occhi grandi, nudi, tuffandosi fra sue braccia, appoggiandosi a lui e lasciando ricadere quel colore scuro dal suo corpo.

«Atlas... » lo chiamò fra dei singhiozzi ampi, mentre pian piano si lasciava colorare il corpo morbido nel buio della notte e fra i ricordi spezzati

«sono qui...» lo strinse con più forza, lacrimando al suo dolore, percependo a pieno il nero al suo interno ed i mostri che lo stringevano fedeli fra i tagli invisibili.

«ho paura...» si confidò Thomas dopo attimi infiniti, godendosi quel calore morbido, quel colore che Atlas gli concedeva a cuore aperto e braccia spianate, vivido d'amore che nessuno gli aveva mai dato.

«di cosa?» gli chiese attento al suo verde che pian piano gli stava ri-colorando le iridi morbide, lucide.

«lo sai... Domani vado per due giorni dai miei fratelli» gli ricordò il roscio posando il capo contro la spalla di Atlas e tirando su con il naso.

FecciaWhere stories live. Discover now