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Thomas aprì gli occhi insabbiati, pesanti in un ringhiò soffocato, spezzato da un senso di spaesatezza che fu subito sovrastato dalla paura che lo colse fra le lenzuola disfatte, bollenti sul suo corpo asettico. Portò lo sguardo a girare come una trottola fra le pareti ruvide, soffocanti della sua camera, toccando a palmi freddi e sudati il viso candido, lentigginoso come per assicurarsi che non fosse un sogno, che fosse realmente nel suo letto e non più in bilico su di una sporgenza.
Con fatica si mise seduto sul bordo del letto, toccando con le punta delle dita la maglia morbida, blu che seppe riconoscere come appartenente a Samuel, e prese un grande respiro, alzandosi a fatica, trabballando su di esse come fosse su di un filo. Più cercava di muoversi e più le gambe parevano più pesanti, ancorate al pavimento in legno con una forza disumana, mistica da cui non riusciva a ribellarsi in nessun modo. Il tempo gli sembrava rallentare, mentre, fra mille palpiti, si crogiolava nel suo sudore ed osservava il pavimento girare veloce facendolo cadere a carponi in una trottola di colori, colori che Thomas non seppe toccare, non seppe stringerli, non seppe stringere i denti, arrendendosi al buio che lo circondava.
Dopo diversi attimi fermo su quel pavimento caldo, dannatamente caldo, Thomas riprese a respirare normalmente, concedendosi di riaprire gli occhi in un abisso sconosciuto. Si rialzò lentamente, portando una mano a coprire gli occhi spenti e cupi, ormai privi di ogni colore, privi di quel verde che morbido gli accarezzava il viso; proteggendosi dalla luce del sole che entrava vorace dalla finestra.
Cosa stava facendo della sua vita?
Thomas non seppe rispondersi, sentendo dentro di sé un vuoto crescere man mano che il suo passo, pesante, si avvicinava alla porta della cucina dove al suo interno sentiva le voci calde, rauche dei suoi fratelli.  Mise la mano sulla porta, pronto per scorrerla, ma il rumore di un coccio infranto contro il pavimento lo fece bloccare completamente, facendogli riaffiorare le scene ruvide di quella serata; gli venne da piangere.
Non seppe neanche lui quanto restò fermo dietro quella porta, ma, una volta riaffiorato fra i suoi pensieri, si accorse di avere le guance bagnate e gli occhi lucidi, ormai  vuoti. Con un gesto schietto si asciugò il volto ed aprì la porta, facendo completamente cessare il leggero chiacchiericcio nella stanza.
Aveva paura, dannatamente paura di perderli per sempre, di averli delusi o, peggio ancora, feriti.

«piccolo, come ti senti?» gli chiese Samuel con voce morbida, posando i piatti sporchi nel lavabo del pianale e andando incontro al roscio che era ancora bloccato sulle due assi del parquet caldo.
Thomas non seppe rispondere, lasciandosi completamente impregnare dal profumo di suo fratello maggiore, godendosi quel dolce calore fra le sue braccia, calore che tanto desiderava.

«vuoi mangiare un pochino?» continuò Samuel con un sorriso morbido che Thomas non seppe interpretare.

«no...» sussurrò appena la figura di Samuel si mosse fra i vari fornelli per ricavargli dei restanti del loro pranzo. Il maggiore si fermò di scatto, puntando gli occhi suoi suoi fratelli come in cerca di aiuto che non tardò ad arrivare.

«tesoro, almeno un pochino di merenda devi farla.»cercò di imporsi leggermente, Charles, portando una mano ad accarezzargli il capo morbido, gesto che lo fece sussultare sul posto, ma di cui non disse nulla, non riuscendo a guardare negli occhi nessuno di loro.

«mh..» mugugnò giocando con le mani ed osservando con la coda nell'occhio i piedi di Samuel muoversi nella cucina con calma

«ecco qui, il tuo preferito» esclamò posando sul tavolo una piccola ciotola di yogurt bianco con dei pezzi di frutta e del miele.
Thomas deglutì rumorosamente davanti a tale gesto, sentendo lo stomaco contorcersi e gli occhi colmarsi di lacrime davanti a quel dannato vasetto di yogurt.
Da quando provava così tanta ostilità?
Non si mosse. Non osò toccare nulla.
Sentiva dentro di sé un vuoto così ampio, grossolano da farlo fremere fra le pagine della sua stessa storia, scoppiare a piangere a volto basso in qualcosa più grande di lui.
Si sentì affogare, sommergere da le onde scure del suo mare, perdendosi completamente fra le lacrime acide, ruvide dei suoi occhi e iniziando a singhiozzare a gran rumore, non stentando più a trattenere quel dolore che lo martoriava giorno dopo giorno.
I più grandi si guardarono sorpresi, completamente estrani ad un tale sfogo, bloccati nei loro rispettivi posti.

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