Cap. 44 ~ Sospetti da dimenticare

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<<Tu!>> Esclamò sbattendo la porta d'ingresso. <<Hai sorpassato ogni limite.>> Sputò sbadatamente la sigaretta sul divano, lacerandone la cucitura. Arrivò a qualche centimetri da me e dopo una breve attesa mi tirò uno schiaffo. <<Non fare tanto la teatrale.>> Mi riportò a dritto, afferrandomi la camicetta con entrambe le mani. <<Come hai osato?! Baciare Chat noir? Ma che ti è preso?>>
<<È stato più di dieci giorni fa, ed era solo un gesto amichevole, non aveva secondi fini->>
<<Come se non fossi a conoscenza di tutte le porcate che hai fatto.>>
<<Di che diavolo stai parlando?>>
<<Rispondi anche a tono adesso? Va bene Marinette, l'hai voluto tu.>>

Sigillò ogni uscita, portandosi via con se anche il mio miraculous. <<Te lo ridarò in serata.>>
<<Luka ti prego non->>
Chiuse l'uscio principale incurante del fatto che stessi continuando a graffiare l'asse di legno per la disperazione.

Adrien pov:

Il peso delle mie delusioni si faceva sempre più opprimente, come se una morsa invisibile stringesse il mio cuore con maggiore fermezza. A casa mia, l'unica presenza era quella di Plagg, il mio kwami, che ronzava intorno ai formaggi nel suo angolo del soggiorno. Era l'unico conforto che avevo, l'unica compagnia che mi restava in un mondo che sembrava crollare intorno a me.
Quella maledetta telefonata del mattino, il suono della voce del mio capo che annunciava il mio licenziamento, era ancora impressa nella mia mente come un marchio infame. E poi la rivelazione di Nino, il mio migliore amico, che era stato promosso al mio posto. La sensazione di tradimento bruciava come acido nel mio petto. Erano tutte state chiamate senza risposte le mie perché troppo debole da affrontarli.

Era per questo che, verso le undici di sera, mi ero ritrovato seduto là, nel buio del lembo più remoto del locale, circondato dall'ombra dei miei pensieri e dalla mormorazione incessante delle persone intorno a me.
Sentivo gli sguardi pesanti addosso, le parole sussurrate che mi perseguitavano come un eco inquietante.

Ma io non potevo permettere a tutto questo di toccarmi. Ero immerso nel mio dolore, nella tempesta emotiva che mi travolgeva con una forza implacabile. Il bicchiere di whisky dolce tra le mie mani era l'unica fonte di conforto che mi restava, un po' di sollievo momentaneo in mezzo alla tempesta, sebbene fossi a conoscenza che nemmeno quello scotch sarebbe stato in grado di rinunciare il ronzio incessante nella mia testa.
Guardavo il liquore che scivolava giù per la mia gola, bruciando come un fuoco che ardeva dentro di me. Avevo bisogno di quel calore, di quel torpore che mi faceva dimenticare per un attimo tutto il dolore che mi opprimeva.
Il mio riflesso era nel cilindro in vetro, e io rimanevo immobile ad osservare lo sguardo vuoto che mi fissava dallo specchio. I vestiti troppo larghi che mi cadevano addosso come sacchi, testimoni del mio stato di trascuratezza e abbandono. Avevo perso peso, più di dieci chili, senza nemmeno accorgermene, consumato dall'ansia e dallo stress. Le occhiaie profonde che segnavano il mio viso pallido, scarno e stanco, contrastavano il dorato della barba ispida che mi faceva sembrare più vecchio di quanto fossi. Sembravo un estraneo, uno spettro che vagava senza meta in un mondo che non capivo più. E il taglio al mento, il ricordo di un attacco di rabbia che mi aveva colto durante la giornata, era la prova tangibile della mia disperazione, della mia impotenza di fronte a un destino crudele e ingiusto. Non volevo emanare vittimismo perché io ero solo il malfattore, chiunque mi si avvicinasse finiva per rimanerne deluso.

La mia pace fu straziata dalla presenza di un mio amico.
<<Passavo di qui e appena- oh Cristo.>> Prese posto alla mia destra.
Non alzai nemmeno lo sguardo, non ne avevo bisogno. Riconobbi immediatamente il suo modo di fare. <<Yo che cazzo ti è successo.>> Il suo linguaggio scurrile era l'ennesima testimonianza.
Non risposi.
<<Ok, l'hai finito? Offro io il prossimo. Cosa bevi?>>
<<Non m'interessa.>> Me lo tolse dalle mani per annusarne il contenuto.
<<Datti un po' una botta di vita.>>
<<Mi dispiace.>>
<<Che palle Adrien basta dispiacerti.>>
<<Scusa.>>
<<Oddio.>> Sbatte i gomiti al bancone.

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