CAPITOLO NOVE-PRIMA PARTE (revisionato)

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Helen corse a perdifiato fino a quando le gambe non iniziarono a bruciarle ed il respiro a diventare troppo irregolare.

Le dispiaceva aver litigato con il suo migliore ed unico amico, ma non era certo colpa sua se lui aveva deciso di darle la colpa di tutto ciò che era successo.

Doveva ancora abituarsi a vivere in quella cittadina e subito erano accadute cose strane e orribili.

Cominciò a piangere più forte di prima, scossa da forti singhiozzi.

Pensò a come viveva bene prima di trasferirsi, era felice con tutti i suoi amici ed i parenti. Continuava a fare telefonate molto lunghe con la sua migliore amica Leslie, certo, ma non era la stessa cosa.

Le mancava tantissimo sentire il suo profumo alla vaniglia e anche vedere i suoi capelli ricci e scuri raccolti in una coda alta e disordinata. Leslie era una ragazza non troppo alta, con la carnagione olivastra e due occhi verdi che stonavano con il viso spigoloso.

Aveva dei lunghi capelli neri che teneva sempre raccolti. In estate usava sempre delle canottiere dai colori accesi che le davano un'aria da bambina, insieme a dei pantaloncini corti. O almeno era così che la ricordava Helen guardando una loro fotografia che teneva sulla sua scrivania. Ripensò alle risate durante la ricreazione o alle lacrime versate dopo aver visto un film romantico dove uno dei due protagonisti alla fine muore.

Non aveva mai amato quel genere di storie, erano troppo tristi per i suoi gusti, ma accettava qualunque cosa pur di trascorrere una serata con le sue amiche. Pensò anche ai bei momenti passati con Liam, quando l'aveva portata per la prima volta al laghetto e quando aveva pranzato con la sua famiglia.

Gli altri ricordi recenti di Kindleck non erano ricordi molto felici, ma non era colpa di nessuno dei due. Lui le aveva fatto scoprire cosa significa aver paura e di conseguenza essere coraggiosi. Perché, si sa, se non si teme nulla, il coraggio non serve a niente. Tutti hanno paura di qualcosa, e chi lo nega è un bugiardo.

Helen si alzò in piedi e si pulì le mani sui pantaloni, si guardò attorno scacciando le lacrime dalle sue guance con qualche semplice gesto della mano. Si era seduta sull'erba umida appoggiando le spalle al tronco di un albero, vicino ad una catapecchia di legno chiaro scolorito dal sole e dalle intemperie. Se fosse entrata, la sua testa sarebbe stata a pochi centimetri dal soffitto in parte crollato.

Aveva timore ad entrare e, in più, si sentiva osservata.

Sentì la paura crescere dentro di lei: era una sensazione simile a quella che aveva provato diverse volte quando si trovava con Liam, ma in quel momento era sola e fece la cosa che le sembrò più sensata in quel momento. Si girò ed iniziò a correre nella stessa direzione da cui era venuta, ogni tanto fermandosi per assicurarsi di non essere seguita.

Scavalcò sassi e tronchi di alberi caduti, mentre iniziava a sentire un fruscio dietro di lei. Ma poteva anche essere la sua immaginazione.

Si graffiò le gambe con i rami degli arbusti mentre il vento le pungeva la pelle delle braccia e del viso.

Nei pressi del lago, intravide la roccia da cui si era tuffata e fece un sospiro di sollievo, nonostante avesse ancora la sensazione che qualcuno la osservasse di nascosto e la paura continuasse a crescere dopo ogni passo.

Dentro di sé sperò di trovare Liam seduto sulla ghiaia come quando era scappata, per correre ad abbracciarlo e spiegargli tutto.

In realtà non sapeva dare una spiegazione al fatto che, dopo aver visto quella piccola casetta diroccata, fosse scappata via a gambe levate. Non aveva nulla di pauroso ed era pomeriggio inoltrato, quindi non poteva esserci nulla di troppo pericoloso, se non qualche ratto o un gatto che aveva trovato un rifugio di fortuna per ripararsi dal caldo di fine luglio.

In realtà, pensò, era scappata perché aveva avuto un brutto presentimento, ma non sapeva quanto poteva fidarsi delle sue sensazioni.

Quando arrivò al laghetto non vide nessuno, ma non era ancora riuscita a scacciare la paura che l'attanagliava.

Decise di tornare a casa, non aveva senso rimanere lì da sola quando aveva paura pure della sua ombra.

Camminò velocemente, ma senza correre, cercando di fare respiri lunghi e regolari, per cercare di riprendere il controllo sulle sue emozioni.

Decise che, nonostante tutto ciò che era successo quel pomeriggio, avrebbe chiamato Liam per raccontargli tutto. Non era ancora sicura che lui le avrebbe risposto, ma doveva almeno fare un tentativo.

Andò in camera sua dopo aver salutato i suoi genitori e risposto loro che stava bene e nessuno aveva cercato di ucciderla come sua madre credeva.

Suo padre, al contrario, era sicuro che a lei non sarebbe successo nulla, ma nessuno capiva come potesse esserne così sicuro.

Si sedette alla sua scrivania ed iniziò a giocherellare con una matita e a scarabocchiare sul foglio bianco che aveva davanti a lei. Doveva avere sempre le mani impegnate quando faceva una telefonata, altrimenti avrebbe iniziato a gironzolare per la casa senza una meta precisa.

Compose il numero e, dopo tre squilli, sentì lavoce di Liam. Iniziò con foga a raccontare tutto, ma si fermò quasi subito: erala segreteria telefonica.


Secondo voi cos'è successo a Liam? E' morto o è semplicemente occupato?

Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina, a breve la seconda parte!

The Dolls (vincitrice Wattys 2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora