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Mi svegliai che il sole era già alto o meglio, immaginai dovesse essere già alto perché c'era una nebbia densa e del sole non c'era traccia, ma la stanza era ben illuminata. La tenda era rimasta aperta e la luce invadeva la camera, era come avere una stanza in mezzo a una radura.

Mi rigirai, cercando di mettere a fuoco le lancette dell'orologio che avevo al polso, erano le 9.30. I miei dieci minuti di riposo erano durati circa tredici ore.

Mi lavai il viso e i denti, cambiai la maglietta a maniche corte con una a maniche lunghe, coprente, presi la chiave della mia nuova stanza e uscii.

«Ciao, tu devi essere quella nuova».

Mi voltai verso la ragazza dai capelli rossi che mi aveva salutata. Stava chiudendo a chiave la porta della stanza a fianco.

«Ciao, sono Giulia», le diedi la mano per presentarmi educatamente.

«Elena - si presentò a sua volta stringendomi la mano con energia - sto andando in sala mensa per fare colazione, ti va di venire con me? Ti faccio vedere dov'è e ti mostro un po' i collegi».

Il mio primo istinto fu di rifiutare, dirle che avevo già fatto colazione o che dovevo uscire.

Le scuse che avrei potuto usare erano molte, ma avevo davvero voglia di conoscere qualcuno. Lei era la prima persona che mi rivolgeva la parola, poi era stata così gentile, non volevo sembrarle scortese e, in realtà, una visita guidata mi avrebbe fatto comodo.

«Va bene, grazie», accettai.

«Seguimi allora!».

Mi affrettai a chiudere a chiave la mia stanza e seguii Elena lungo il corridoio. I suoi riccioli rossi spiccavano nel contrasto tra i colori smorti delle pareti. Anche se, per sbaglio, mi fossi allontanata da lei, l'avrei di certo ritrovata subito.

«Sei al primo anno, vero?», chiese.

«Sì, è così evidente?», risposi arrossendo. Di certo dovevo avere l'aria della matricola disorientata.

«No, in realtà ho la stanza accanto alla tua da tre anni e l'anno scorso, al tuo posto, c'era un'altra ragazza. Perciò ne ho dedotto che tu fossi arrivata quest'anno», sorrise. Il suo ragionamento era logico e le mie erano solo paranoie, come sempre.

«Quale Facoltà hai scelto?».

«Psicologia».

«Umm...è una bella Facoltà».

«Te lo saprò dire tra qualche mese. Tu invece? Che Facoltà frequenti?».

«Io sono al terzo anno di Economia».

«Come ti trovi?», le chiesi, mentre la seguivo lungo gli stretti corridoi del palazzo, cercando maldestramente di fare conversazione.

«Non è male, poi lì i ragazzi sono favolosi», mi lanciò un'occhiatina ammiccante d'intesa.

Ci fermammo davanti ad un portone troppo rosso, era quasi fastidioso quel colore acceso, stonava con il resto dell'edificio, anche se si intonava perfettamente ai capelli di Elena. Al centro di quel rosso c'era un'altra targhetta argentata con scritto MENSA. Ogni porta era etichettata in modo chiaro e preciso, era impossibile sbagliare, anche per un'imbranata come me.

«Eccoci arrivate», Elena mi fece strada.

La sala era quasi deserta, c'erano solo una decina di studenti che si attardavano a chiacchierare tra loro, ma avevano già finito di fare colazione.

«Come mai è così vuota?», chiesi stupita. Mi aspettavo di trovare un caos di giovani, invece, da quando ero arrivata, avevo incrociato una manciata di persone.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora