6.

175 4 12
                                    


Conoscevo Anna da meno di una settimana, mi piaceva il suo modo di fare, la sua allegria, l'energia che metteva in ogni piccola cosa. Era facile parlare con lei, anche per una come me. In pochi giorni le avevo raccontato cose che non avevo mai detto a nessuno, avevo rivelato a quella ragazza talmente tanto di me, del mio carattere, della mia vita, che quasi mi sembrava impossibile.

Eppure, quella mattina, dovetti ricredermi: nemmeno Anna era perfetta e aveva un difetto che avrebbe per sempre cambiato le cose tra noi. Un difetto che non avrei mai potuto tollerare.

Stavo dormendo, nel bel mezzo dei miei soliti e confusionari incubi. Scappavo da qualcosa o da qualcuno, correvo lungo i vicoli stretti di Urbino, inciampando sui sanpietrini sporgenti di cui erano lastricate le strade di tutto il centro. Correvo disperata, ma senza riuscire a scappare davvero, il mostro che m'inseguiva era a pochi passi. Poi ci fu un'esplosione, un colpo sordo, poi un altro. Il sogno svanì lentamente, mentre riprendevo coscienza, ma i colpi non si fermavano, continuavano più forti e insistenti.

Impiegai qualche minuto prima di capire che qualcuno stava bussando alla porta.

Cercai di rispondere, di formulare parole del tipo eccomi o arrivo, ma non ci riuscii, non avevo le forze nemmeno per provare ad emettere suoni. Così con una mano mi scansai di dosso le coperte, il loro peso, per quanto leggero, m'impediva di muovermi.

I colpi alla porta si facevano sempre più frequenti, incalzanti.

Scesi dal letto quasi strisciando, nell'oscurità della stanza trovai la porta a tastoni, impiegai un po' per raggiungere la maniglia, non ricordavo da quale lato fosse.

Finalmente riuscii ad aprire, la luce che c'era fuori mi accecò, non vidi niente, sentii solo qualcuno che, con uno strattone, mi spostava dalla porta per poter entrare in camera mia, ed ero ancora talmente stordita che non riuscii nemmeno a spaventarmi.

«Forza ragazza, oggi andiamo a correre!», disse Anna con una voce così squillante che quasi mi venne istintivo coprirmi le orecchie con le mani. Non erano ancora pronte a ricevere tonalità di suono così acute.

I miei occhi, intanto, cercavano di mettere a fuoco ciò che avevano davanti: nella semioscurità della stanza, rischiarata dalla luce che filtrava dalla porta rimasta aperta, Anna stava saltellando come un folletto impazzito.

«Forza, forza!», continuava a ripetere.

Io, ferma sulla porta con l'espressione confusa e gli occhi ancora semi-chiusi per il sonno, pensai sinceramente che fosse impazzita.

Rimasi a fissarla perplessa e incredula, ma lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si mise a rovistare nel mio armadio e, dopo qualche secondo, ne estrasse una tuta e me la tirò letteralmente addosso, poi prese le mie scarpe da ginnastica e le lanciò vicino ai miei piedi.

«Forza, forza!», gridò di nuovo, con tutto l'entusiasmo di cui era capace.

Mi chinai a raccogliere le scarpe e con la tuta nell'altra mano, quasi come un automa, andai in bagno, lavai viso e denti e m'infilai vestiti e scarpe da ginnastica, come da ordini ricevuti. Quando uscii dal bagno, per qualche secondo, pensai persino di stare sognando, ma mi sentivo troppo stanca per essere in un sogno.

Mi lasciai trascinare fuori da Anna, che sembrava sempre più entusiasta, finché, finalmente, l'aria gelida delle sei del mattino riuscì a svegliarmi completamente.

«Ma sei impazzita! Ma hai idea di che ore sono? La gente normale a quest'ora dorme», sbottai con gli occhi spalancati e finalmente in pieno possesso delle mie facoltà mentali.

Lo stesso peso dell'amoreWhere stories live. Discover now