17.

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Anche quella notte rimasi sveglia a lungo, doveva essere molto tardi quando riuscii ad addormentarmi, perché quando Anna mi svegliò per andare a correre mi sentivo a pezzi. Le dissi che avevo mal di testa, ed era vero, perciò andò da sola, permettendomi di restare a letto. Non mi andava proprio di correre sotto la pioggia, mi sentivo esausta. Così dormii ancora un po', poi mi rilassai con l'acqua bollente della doccia, feci colazione con calma e mi preparai per la lezione.

Come al solito Anna fece tardi, tornò dalla corsa che io stavo già uscendo. Ci incrociammo fuori dalla porta dei collegi, nel piccolo parcheggio che c'era davanti.

La vidi arrivare da lontano, la sua tuta da ginnastica rosa spiccava tra la nebbiolina leggera che tingeva l'aria di grigio.

«Ho fatto un po' tardi, scusa», ansimò con il fiato corto, continuando a saltellare sul posto per non perdere il ritmo della corsa.

«Ti aspetto là, muoviti però, altrimenti perdi la lezione».

«Certo, faccio la doccia e arrivo», rispose correndo via come un fulmine.

Non so dove riuscisse a trovarla tutta quell'energia, spesso io non avevo voglia nemmeno di alzarmi dal letto. Ma non quella mattina, quella mattina ero felicissima di andare in facoltà.

Quando arrivai, troppo presto, l'aula era quasi vuota. Presi posto come sempre in terza fila, tenendo per Luca il posto alla mia destra, quello più vicino alla porta, come da contratto e per Anna quello alla mia sinistra.

Presto gli studenti affollarono l'aula, ma di Anna e Luca nessuna traccia. Quando arrivò il professore i posti erano tutti occupati, tranne i due vicino a me e la gente rimasta in piedi iniziava a guardarmi storto. Tenevo gli occhi fissi sul libro, per evitare di dover sostenere i loro sguardi accusatori.

«È libero questo posto?», chiese quella voce stranamente già così familiare.

«Certo, tenuto libero apposta per te», risposi alzando lo sguardo verso quella creatura bellissima e spostando la borsa che avevo appoggiato sul banco per tenerlo occupato.

Sorrise e il mio cuore si fermò.

«Oggi sei sola?», guardò il posto vuoto alla mia sinistra.

«Anna è in ritardo, come al solito».

Si sedette al mio fianco, con un movimento fluido ed elegante.

«Allora non sono l'unico ad arrivare tardi alle lezioni», disse ridendo.

Ricambiai il suo sorriso, certa che in nessun caso avrebbe potuto essere bello come il suo.

«Questo è per te», appoggiò sul banco davanti a me un piccolo foglio di carta colorata, di un azzurro delicato. Lo presi, sopra c'era un numero di telefono.

«È il mio numero», aggiunse sottovoce.

«Potevi dettarmelo, l'avrei scritto sul cellulare, il mio lo so usare, sai?», sorrisi.

«Davvero? Pensavo avessi un'allergia alla tecnologia e che preferissi la carta».

Mi piaceva da impazzire anche quando si divertiva a prendersi gioco di me.

Scossi la testa e, fingendo di essermi offesa, registrai il suo numero sul mio cellulare.

«Non sapevo se avresti mantenuto la promessa», sussurrò avvicinandosi di più a me. Sentii il suo profumo, sapeva di buono.

«Io mantengo sempre le promesse e, comunque, anch'io non ero sicura che saresti venuto a lezione».

«Perché non avrei dovuto?».

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora