15.

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Continuavo a ripetere mentalmente il suo nome, così semplice, comune. Era la prima volta che quel nome mi sembrava tanto bello.

Sprofondai la testa nel cuscino, per cercare di smettere di pensarci.

Quella notte non riuscii a chiudere occhio, mi rigirai per ore nel letto, ascoltando la pioggia fitta che ticchettava contro la vetrata. Non smettevo di pensare a lui, mi chiedevo se il giorno dopo sarebbe venuto a lezione.

Certo, mi aveva chiesto di tenergli un posto, ma nell'ultima settimana aveva seguito solo due lezioni. Come facevo ad avere la certezza che sarebbe venuto?

Era assurdo stare così per uno che conoscevo a malapena.

Alle sei in punto, come al solito, Anna bussò alla mia porta. Per una volta non mi colse di sorpresa, avevo controllato l'orologio della sveglia ogni minuto nelle ultime due ore, la stavo aspettando. Era l'ora della nostra corsa mattutina ed io non ero riuscita a dormire nemmeno dieci minuti.

Mi alzai dal letto barcollando, aprii la porta della mia stanza solo perché la smettesse di bussare, ogni colpo era una martellata dentro la mia testa.

Anna entrò saltellando, mentre io, a fatica, mi trascinai verso la finestra e la aprii. Fuori era ancora buio ma l'aria fredda mi aiutò a riprendermi.

«Aspetta qui», mugugnai ad Anna mentre entravo in bagno. Mi lavai il viso e i denti, legai i capelli arruffati per cercare di riacquistare sembianze umane. Sembravo uno zombie.

Per infilare tuta e scarpe da ginnastica impiegai meno di dieci minuti, ma Anna già sbuffava nervosa.

«Allora, ti muovi? Abbiamo una lezione tra meno di tre ore, pensi di farcela?», chiese ironica e piena di vitalità. La invidiai, io mi sentivo uno straccio.

«Sono pronta», risposi lanciandole un'occhiataccia.

«Bene, era ora!», uscì dalla stanza con la stessa fastidiosa energia con cui era entrata.

«Anche perché oggi c'è qualcuno che ti aspetta, sarebbe scortese arrivare in ritardo visto che gli hai promesso di tenergli un posto proprio vicino a te», si voltò di scatto per farmi l'occhiolino.

«Anna, smettila», protestai uscendo e chiudendo a chiave la porta della mia camera, già con il cuore su di giri al solo pensiero di rivederlo.

«Siamo suscettibili questa mattina?».

Somigliava sempre di più a mio fratello, si divertivano entrambi a prendermi in giro.

«Guarda che se non la smetti torno a letto e ti lascio andare a correre da sola», quasi sperai che mi desse un motivo per restare a letto.

«Va bene, va bene, non dirò più nemmeno una parola», promise fingendo di cucirsi la bocca.

Due minuti dopo stavamo già correndo lungo le strade di quella città magica, completamente deserta, mentre i primi raggi di sole iniziavano ad illuminarci la via.

C'era una quiete straordinaria a quell'ora del mattino e vedere nascere il giorno mi diede un'energia nuova.

Era l'inizio di un nuovo giorno, un giorno in cui tutto sarebbe potuto succedere, tutto sarebbe potuto cambiare. Un giorno che mi spaventava, ma che non vedevo l'ora di vivere.

Il silenzio di Anna durò meno di tre minuti perché le parole ricominciarono a scorrere a raffica. Io rispondevo a tutte le sue domande a monosillabi, non avevo abbastanza energie per correre e parlare contemporaneamente, ma lei non sembrava accorgersene, presa com'era dai suoi racconti.

Io l'ascoltavo volentieri, così evitavo di pensare ad altro. Mi concentravo sulle sue parole e l'unica cosa che ogni tanto mi distraeva era la stanchezza, riuscivo a fatica a starle dietro.

Lo stesso peso dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora