47.

67 3 3
                                    

«Buon San Valentino a tutti», concluse il professore, quando ci congedò. Non poteva essere vero, ci si metteva anche lui!

Le due ore di lezione erano state un altro black-out per me, eppure notai, con sorpresa, di aver preso pagine e pagine di appunti.

Iniziai a riporre le mie cose nella borsa, impaziente di tornarmene in camera, al buio, in assoluta solitudine e pace.

«Allora?», chiese il mio vicino di banco mentre, alla svelta, mi infilavo il cappotto per scappare via.

«Allora cosa?», finsi di non capire.

«Usciamo insieme stasera? Ti porto a cena in un bel posto».

«No, grazie, preferisco di no. La prossima volta magari», dissi e velocemente uscii dall'aula.

Fuori dalla facoltà mi sentii al sicuro e rallentai. Con passo più tranquillo mi avviai verso i collegi, sempre attenta a guardarmi intorno il meno possibile.

«Aspetta, Giulia!», mi sentii chiamare a gran voce, lo riconobbi subito e fui quasi tentata di ignorarlo e accelerare il passo. Invece, purtroppo, mi fermai e mi voltai. Tanto, in ogni caso, mi avrebbe raggiunta.

«Cosa c'è?», chiesi un po' troppo bruscamente.

«Non mi hai detto per quale motivo non vuoi uscire con me», disse quasi senza fiato, raggiungendomi. Io ripresi a camminare e lui al mio fianco.

«Non mi va», risposi sincera.

«Non ti piaccio?», chiese e sembrava scioccato dall'idea che potesse non piacere a qualcuno.

«Non è per questo», evitai di rispondere alla domanda.

«Ah, volevo ben dire!». Se qualcuna gli avesse detto, un giorno, "non mi piaci", gli sarebbe certamente crollato il mondo addosso. Ebbi la tentazione di essere io a farlo, ma mi trattenni, il mio karma era già messo male.

«Allora perché? Sei ancora innamorata di quello?».

Lo guardai sbarrando gli occhi, le mani mi iniziarono a tremare, dovetti sforzarmi per trattenere le lacrime.

Tornai a fissare la strada, incapace di rispondere. Sapevo che la mia voce non sarebbe stata lineare come avrei voluto. Non potevo piangere davanti ad un perfetto estraneo.

«Lo so che uscivi con quel tizio l'anno scorso, infatti non ti ho chiesto prima di uscire proprio per questo. Sai, quello non era un tipo raccomandabile, preferivo non mettermici contro. Ma poi ho notato che è da un po' che non si vede in giro e ti ho vista sempre sola, quindi ne ho dedotto che vi foste lasciati. È così vero?».

Assurdo, ci mancava solo lui ad aiutarmi ad andare a fondo.

«Sì», risposi con un filo di voce.

«Meglio così, davvero, quello non è il tipo giusto per una come te. Si vede che sei una brava ragazza, lui è solo un povero drogato».

Quelle parole mi si piantarono dentro come un coltello. Mi venne il desiderio forte e incontrollabile di tirargli un pugno in pieno viso, così avrei tirato via quel sorriso idiota dalla sua faccia.

Invece non dissi niente, ero troppo concentrata ad impedire alle lacrime di scendere giù.

«Io sarei il ragazzo ideale per te. Allora, ti ho convinta? Usciamo stasera?».

«No!», dissi con tutta la rabbia che avevo accumulato dentro.

«Ma sei proprio testarda. Guarda che la cena la offro io. Tu devi solo metterti un vestito sexy e aspettare che io ti venga a prendere. Come fai a dire di no a questi due occhioni?», mi tirò per un braccio per farmi voltare verso di lui, in modo che lo guardassi negli occhi.

Io lo feci, lo guardai dritto negli occhi. Erano azzurri, troppo diversi dai suoi per potermi confondere. Troppo azzurri perché non ci vedessi i suoi.

Mi sembrava di impazzire, tutti gli sforzi che avevo fatto per non pensare a lui non mi erano serviti a niente, ora il suo ricordo era vivo e presente come mai prima di allora e mi soffocava. Ero patetica.

Con uno strattone mi liberai dalla presa dell'idiota che mi stava davanti e corsi via, verso i collegi, sperando che avesse la decenza di non inseguirmi correndo.

Per fortuna anche lui aveva un po' di dignità e mi lasciò andare, un secondo prima che scoppiassi a piangere.

Quando arrivai ai collegi avevo già fatto rientrare il fiume di lacrime negli argini che negli ultimi mesi avevo costruito e avevo di nuovo indossato la mia maschera di calma e tranquillità. Ero pronta ad affrontare mio fratello.

Bussai alla porta della camera di Anna.

«Un attimo!», sentii gridare da dentro.

Un minuto dopo Anna aprì la porta, aveva un'espressione felice, il viso un po' accaldato e i capelli insolitamente in disordine.

«Ciao Giulia, è finita prima la lezione?», chiese sbarrandomi la porta.

«Veramente sono le due passate, ho fatto più tardi del solito», le feci notare.

«A si? Non mi ero accorta che fosse così tardi!», disse nervosa, lanciando una rapida occhiata dentro la stanza.

Perfetto, in quella splendida giornata mi ci mancava solo di fare la figura della guastafeste.

«Anna, senti, ho dimenticato una cosa in camera mia, poi vorrei anche darmi una sistemata. Facciamo così, quando siete pronti venite a chiamarmi, così andiamo a pranzo fuori, offro io», cercai di liberarci entrambe dall'imbarazzo.

«Perfetto!», rispose lei sorridendo, palesemente sollevata.

«A dopo», la salutai e salii in camera mia, chiusi per un po' il mondo fuori dalla porta, tolsi cappotto e scarpe e mi sdraiai sul letto. Mi sentivo esausta, sperai che la giornata finisse presto.

Più di un'ora dopo sentii bussare alla porta, non feci nemmeno in tempo ad aprire che mi sentii sollevare da terra e la stanza iniziò a girare.

«Ciao pulce!», esclamò mio fratello.

«Teo, mettimi giù, non ho cinque anni».

Per fortuna mi ubbidì subito e tornai con i piedi per terra.

«Me ne sono accorto. Pesi troppo», disse ridendo.

Era bello poter scherzare di nuovo sul mio peso, prima non l'avrei sopportato, né lui si sarebbe azzardato a dire una frase del genere. La normalità era bella, peccato non poterla avere in tutti i settori della vita.

«Sei pronta? Andiamo a pranzo?», chiese sereno.

«Se voi siete pronti...».

Teo era perfettamente a suo agio, Anna, dietro di lui, aveva un'espressione felice ma imbarazzata. Si era risistemata i capelli, ma il viso era ancora accaldato. Era buffo vederla in imbarazzo.

Passammo qualche ora insieme perché mio fratello mi mancava davvero tanto e avevo bisogno di parlare un po' con lui ma, appena possibile, li lasciai di nuovo soli. Era la loro festa, non volevo fare da terzo incomodo.

Così, mentre loro si preparavano per andare a cena fuori, io tornai in camera mia, accesi la radio in sottofondo, aprii bene la tenda di camera mia per poter osservare quel panorama bellissimo e iniziai a studiare, come un giorno qualsiasi.

Sperai di poter tenere nella mente solo le cose belle di quella giornata e scordare il resto, ma i sentimenti restarono lì, in un angolo buio del mio cuore, che continuava a pulsare fin dentro alle orecchie e sapevo che niente sarebbe stato dimenticato. Mai.

Lo stesso peso dell'amoreWhere stories live. Discover now