24.

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Canticchiando salii le scale per raggiungere la mia camera. Mi tremavano ancora un po' le mani e i miei pensieri erano lontani. Così lontani che mi accorsi solo all'ultimo minuto della ragazza raggomitolata davanti alla porta.

Mi avvicinai ancora un po'. Anna era seduta sul pavimento con la testa tra le mani e lo sguardo fisso sulle linee regolari delle mattonelle.

«Cos'è successo?».

«Giulia, finalmente!», esclamò alzandosi di scatto dal pavimento. «Ti aspetto da più di un'ora, devo parlarti». I suoi grandi occhi erano spalancati, lucidi. Sembrava avesse pianto.

«Dai, entra», aprii alla svelta la porta di camera mia. Ora il leggero tremore delle mie mani era diventato fin troppo evidente. Avevo bisogno di sedermi, mi aspettavo il peggio e temevo di crollare.

Entrammo nella mia stanza, chiusi la porta e mi sedetti subito sul letto, mentre Anna continuava a camminare nervosamente avanti e indietro per la minuscola camera, sussurrando a voce bassa parole incomprensibili, come impazzita.

«Anna, per favore, ti siedi e mi racconti quello che è successo?», la supplicai.

Con uno scatto innaturale si sedette al mio fianco a gambe incrociate e di nuovo prese la sua piccola testa bionda tra le mani, come a trattenere i pensieri, con il viso nascosto dai capelli.

Con il cuore in gola le porsi la domanda che, da subito, aveva invaso i miei pensieri, ma che avevo avuto paura di fare:

«E' successo qualcosa a mio fratello? Sta male?».

La sua espressione nervosa si distese in un sorriso forzato, era evidente che cercasse di rassicurarmi.

«No, no», disse scuotendo energicamente la testa, «Teo sta benissimo. Non è niente del genere, davvero, va tutto bene».

Sospirai di sollievo.

«Allora cosa c'è Anna? Mi stai facendo spaventare».

«Devo parlarti».

«Sì, questo l'ho capito. Di cosa?», domandai sempre più confusa e spazientita.

«Di Luca», pronunciò il suo nome con una smorfia, quasi come un insulto.

Luca? Perché Anna doveva parlarmi di lui? Perché quell'espressione preoccupata?

«Dimmi», incrociai anch'io le gambe, ma solo per avere più equilibrio. Continuavo a fissarla ansiosa, in attesa che parlasse.

Anna restò immobile, con la testa sempre ferma tra le mani, lo sguardo fisso sul tappetino ai piedi del letto, come se cercasse le parole o il coraggio.

«Anna - la chiamai scuotendola leggermente per un braccio - cosa c'è che non va?», chiesi con tono più tranquillo per cercare di calmarla.

«Ok, non so come dirtelo perciò sarò diretta. Sai che oggi sono uscita con Jessica e sua cugina».

Annuii senza dire niente, non volevo farle perdere il filo di un discorso che già faticava a seguire.

«Siamo andate in un bar del centro, lì c'erano alcuni loro amici», proseguì lei, ma s'interruppe di nuovo.

«Allora?», cercai di aiutarla ad arrivare al punto.

«Beh, allora non ricordo chi, forse proprio Jessica, mi ha chiesto di te».

«Sì? Anna, non capisco, quindi?», incalzai.

«Quindi le ho risposto che eri uscita con un ragazzo. Ha insistito per sapere chi fosse e gliel'ho spiegato. Le ho detto il nome, l'ho descritto, le ho detto che l'abbiamo conosciuto a lezione, mi tempestava di domande e voleva sapere i particolari», confessò con tono colpevole.

Lo stesso peso dell'amoreWhere stories live. Discover now