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Inevitabilmente arrivò anche quel giorno. Come una maledizione a cui non ci si può sottrarre. Come un virus che è nell'aria e sai che non potrai evitare di farti contagiare.

Non avevo mai particolarmente amato il giorno di San Valentino, forse perché non ero mai stata innamorata, ma non potevo certo immaginare che l'avrei profondamente odiato proprio ora che, invece, lo ero.

Nel tentativo di ignorare il trascorrere del tempo, non avevo pensato a quella ricorrenza finché non avevo visto le vetrine dei negozi del centro riempirsi di rose e cuoricini e, anche a quel punto, mi ero convinta di potercela fare a sopportare tutto quel rosso che spiccava come il sangue in mezzo al grigio della città e che pareva colorare anche l'aria.

Invece, quando quel giorno arrivò, crollai.

Che sarebbe stato un giorno orrendo avrei già dovuto capirlo al suono della radiosveglia, quando in automatico partirono le note di All you need is love dei Beatles e, mugugnando, sprofondai la testa nel cuscino. L'avrei dovuto capire che avrei fatto molto meglio a restarmene a letto.

Quella mattina Anna non mi aveva svegliata perché, per la fantastica occasione, mio fratello Teo sarebbe venuto di nuovo a trovarla e lei era già indaffaratissima nei preparativi.

Era da più di una settimana che mi ricordava, ogni singolo giorno, che quella mattina avrebbe saltato le lezioni. Ovviamente l'attività di restauro le avrebbe richiesto molto tempo: le serviva l'intera mattinata per farsi bella.

Non avevo nemmeno tentato di convincerla del fatto che fosse un'esagerazione impiegare sei ore per prepararsi ad uscire con mio fratello, uno che indossava la tuta da ginnastica anche per andare a messa. Era San Valentino, la stupida festa degli innamorati e lei era su di giri. Niente di quello che avrei potuto dirle l'avrebbe convinta a venire con me a lezione.

Disperata e sola più che mai, uscii prima del solito per andare in facoltà, speravo così di incontrare meno gente per le strade del centro ma, evidentemente, le coppiette erano mattiniere. Ovunque guardassi c'erano fiori, sorrisi, baci appassionati, sguardi languidi e insopportabilmente dolci.

C'era perfino il sole a rendere l'atmosfera più gioiosa, come se già non fosse tutto in netto contrasto con il mio umore nero.

Dannata pioggia, non ci sei mai quando servi davvero!

Respirai a fondo, infilai le cuffie del lettore alle orecchie mettendo a tutto volume solo musica rock, dove la parola amore fosse bandita. Puntai lo sguardo sulla strada davanti a me, cercando di non vedere niente, solo i sanpietrini che lastricavano le vie.

Una volta arrivata in facoltà, potei finalmente rilassarmi. Era talmente presto che la donna delle pulizie stava ancora passando lo straccio. Attesi che finisse, poi occupai il posto in terza fila, vicino alla porta.

Non potei fare a meno di pensare che quello era sempre stato il suo posto e mi venne quasi voglia di alzarmi e spostarmi altrove.

Era passato quasi un anno, non potevo farmi condizionare così.

Tirai fuori il libro dalla borsa, ormai non uscivo di casa senza un romanzo o qualcosa da leggere, era l'unico modo che avevo per non impazzire. Dovevo riempire gli spazi vuoti per non permettere ai sentimenti e ai ricordi di conficcare radici.

Ovviamente avevo eliminato i libri che parlavano d'amore e anche gli horror. Tutto quello che mi ricordava lui era stato cancellato dalla mia vita. Quanto avrei voluto che tutto ciò fosse stato sufficiente per dimenticarlo.

Mi immersi nella lettura, tenendo sempre le cuffie alle orecchie. L'isolamento dal mondo esterno era totale. Vedevo con la coda dell'occhio le persone che arrivavano e cominciavano a riempire l'aula, ma non alzai mai lo sguardo dal libro, se non per lanciare rapidissime occhiate alla cattedra, solo per controllare se il professore fosse già arrivato.

Qualcuno mi toccò la spalla, costringendomi, mio malgrado, ad uscire dalla bolla trasparente che mi ero abilmente costruita intorno e a tornare alla realtà. Mi voltai verso il ragazzo che aveva richiamato la mia attenzione e che restava in piedi a guardarmi con un bel sorriso stampato in faccia. Tolsi le cuffiette per poterlo sentire, ma ne avrei volentieri fatto a meno.

«Ciao!», mi salutò con troppo entusiasmo, ma il suo sorriso gentile mi convinse a non mandarlo al diavolo.

«Ciao», risposi, sforzandomi di ricambiare il sorriso.

«Posso sedermi vicino a te?», indicò il posto libero alla mia sinistra.

«Sì, certo, siediti pure».

Lui prese posto al mio fianco, continuando a guardarmi con quel sorriso che iniziava ad infastidirmi.

L'avevo già visto altre volte a lezione e, spesso, anche nei locali in cui Anna mi trascinava nei fine settimana. Non era particolarmente alto, forse qualche centimetro più di me, aveva il classico fisico da palestrato e gli piaceva metterlo in mostra con magliette attillate. Non l'avevo mai visto indossare qualcosa che non sembrasse essergli stato cucito addosso.

Ogni tanto si passava la mano sulla testa, come a ravvivarsi una chioma fluente che non aveva più: era completamente rasato, non si intravedeva, sulla testa lucida, nemmeno un millimetro di capelli.

Nel complesso era carino, aveva un bel viso, un bel sorriso ampio e denti perfetti. Si poteva dire che avesse un bel fisico, di certo lui era convinto di averlo.

Era sempre circondato da belle ragazze, evidentemente era uno che ci sapeva fare. Infatti, in quel preciso momento, entrò un gruppo di studentesse, di quelle in tacchi alti e minigonna, con il fisico da top-model. Lui le salutò con un piccolo cenno della mano e quelle, appena lo videro, si sperticarono in sorrisi e saluti, accompagnati da mezzi gridolini.

Davvero non capivo cosa potesse avere di così affascinante, a me sembrava un ragazzo belloccio con un eccesso di autostima.

«Io sono Leonardo», si presentò porgendomi la mano. Mi colse un po' di sorpresa.

Dovetti posare il libro per stringergliela. Mi costò molto, ma non avevo altra scelta se non volevo apparire scortese.

«Giulia».

«Hai un nome molto bello».

«Grazie», risposi senza entusiasmo. Un po' banale come complimento ma, pensandoci, se me l'avesse fatto qualcun altro - uno in particolare - sarei impazzita di gioia lo stesso.

«Un nome molto bello per una bella ragazza».

Io accennai un mezzo sorriso per non essere maleducata ma pensai che, se l'avessi mandato subito al diavolo, avrei risparmiato tempo.

«Cosa fai questa sera, Giulia? Esci con il tuo ragazzo per festeggiare San Valentino?».

Questo era davvero troppo! Questo Casanova da quattro soldi stava esagerando.

«No», risposi secca, senza fornire altri dettagli ma a lui, ovviamente, la risposta non bastò. Doveva rigirare il dito nella piaga.

«Come mai?».

Che domanda stupida!

«Non ho un ragazzo», il mio tono era freddo, sperai che bastasse a fargli capire, gentilmente, che doveva farsi gli affari suoi, ma non bastò.

«Una ragazza bella come te non ha un ragazzo che la porti fuori a San Valentino? È imperdonabile!».

«Già», mi limitai a dire. Sinceramente, non sapevo che risposte potesse aspettarsi con quelle frasi idiote.

«Io questa sera sono libero, potresti uscire con me», disse con una voce che, probabilmente, avrebbe voluto essere sensuale. A me sembrava una televendita.

Lo guardai sbigottita, non poteva dire davvero.

«Mi inviti fuori il giorno di San Valentino?».

«Certo».

«Ma non ci conosciamo nemmeno».

«Appunto, così impariamo a conoscerci».

Per fortuna arrivò il professore e iniziò subito la lezione, così mi concentrai sui miei appunti, cercando di rimuovere dalla mente gli ultimi dieci minuti di quell'assurda conversazione.

Lo stesso peso dell'amoreWhere stories live. Discover now