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Gli amici sono gli Angeli che ci manda il cielo

per ricordarci che lassù qualcuno ci ama.

La prima settimana passò lentamente.

Troppo lentamente.

Quasi consumai l'orologio a furia di guardarlo, in certi momenti avevo come l'impressione che fosse fermo.

Quando mi stancavo di leggere, passavo il tempo seduta sul letto a guardare il paesaggio fuori dalla mia parete preferita.

Restavo lì, in contemplazione, con le cuffie alle orecchie, ascoltando la musica e cercando di non pensare al futuro che mi terrorizzava.

Quando arrivò la domenica sera ero entusiasta, perché la mattina seguente sarebbero finalmente iniziate le lezioni.

Mi era sempre piaciuto il primo giorno di scuola: l'attesa di iniziare qualcosa di nuovo, la consapevolezza di essere più grande.

Era un modo per azzerare tutto, cancellare gli errori e ricominciare da capo, era la pagina bianca di un racconto che stava venendo male, un modo per illudermi di poter essere una persona diversa.

Forse fu per l'agitazione, ma anche quella notte il mio sonno fu tutt'altro che riposante: feci strani sogni, di cui la mattina non ricordavo quasi niente ma mi sentivo esausta.

Alle 8.30 ero già in Facoltà, con mezz'ora buona di anticipo e con due occhi gonfi da far paura, ma tutto sommato stavo bene: ero tesa, nervosa, ed era già qualcosa, erano comunque emozioni che mi facevano sentire viva.

Nell'attesa presi un altro caffè, il secondo nel giro di due ore, il che non mi aiutò a rilassarmi.

Decisi di entrare in aula, era ancora vuota, mi sedetti vicino alla porta, in terza fila, né troppo vicino da dare nell'occhio, né troppo lontano da rischiare di distrarmi. Estrassi il quaderno per gli appunti e la penna, poi, temendo di apparire patetica, rimisi tutto dentro la borsa e appoggiai le mani sul banco.

Stavo quasi per alzarmi e uscire dall'aula quando, per fortuna, un gruppo di ragazzi entrò e si accomodò nelle prime due file, davanti a me. Sospirai.

Ero davvero comica!

Nel giro di pochi minuti l'aula si riempì. A quel punto potevo permettermi di ritirare fuori il quaderno degli appunti, con tanto di penna e libro di testo. Tutti gli altri studenti parlavano tra loro in un ronzio di voci rumoroso, tutti sembravano perfettamente a loro agio, tutti tranne me.

In attesa che arrivasse il professore, per distrarmi m'immersi nella lettura, con il viso quasi sepolto tra le pagine del libro. Speravo di mimetizzarmi con il banco, così nessuno avrebbe notato quanto mi sentissi fuori luogo.

Ero nel bel mezzo della terza pagina dell'introduzione quando una voce, acuta ma gentile, mi riportò alla realtà:

«È libero il posto vicino a te? Posso sedermi?».

Mi girai per accertarmi che si stesse rivolgendo proprio a me. Al mio fianco, a pochi passi, c'era una ragazza minuta dai capelli biondi assolutamente poco naturali, due occhi neri che mi guardavano aspettando una risposta, l'espressione seria, quasi ostile. Era vestita e pettinata in modo perfetto, truccata pesantemente nonostante fossero solo le nove di mattina. Sembrava uscita da una rivista di moda tanto era curata in ogni singolo dettaglio.

«Certo, siediti pure», risposi cercando di essere gentile.

Alla mia risposta le sue labbra si aprirono in un ampio sorriso e gli occhi le s'illuminarono. Era molto carina, senza alcun dubbio, ma quando sorrise mi sembrò un angelo. Era una di quelle persone che, quando sorridono, si trasformano. I suoi lineamenti si fecero più dolci, più delicati, la sua pelle bianca sembrò riacquistare colore, gli occhi neri brillarono.

Lo stesso peso dell'amoreWhere stories live. Discover now