Capitolo 12

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2002

Mi alzo alle nove e cinquanta. Solitamente, anche nei fine settimana mi alzo sempre presto più perchè mia zia è impegnata a scopare con qualche ragazzo che ha poco più di diciotto anni, tipo "Nolan il bagnino", come lo chiama lei.
Una volta alzata, mi metto seduta sul letto e mi guardo intorno. C'è molta quiete e il silenzio che regna nella stanza fa quasi paura.
Sembra di essere in uno di quei film horror in cui, all'inizio, tutto va bene e poi accade qualcosa che stravolge completamente l'equilibrio iniziale in modo irreparabile.
Lentamente, mi alzo dal letto ed esco, con tutto il pigiama, dalla stanza.
In cucina, trovo Woods che prepara la colazione.
Dall'odore, sembra che stia cucinando delle uova col bacon. È da quando é morto mio padre che non le mangio. Zia Isabella non si cura molto della mia alimentazione: la mattina mangio yogurt scaduti di sei mesi e la sera carne in scatola che sa di gelatina. Il pranzo lo faccio solo il fine settimana da lei e mangio solo un modesto panino con pane, prosciutto e formaggio.
Finalmente si accorge di me e, con un sorriso a trentadue denti, mi dice : "buongiorno, bella addormentata nel bosco! Come hai dormito stanotte?".
"Da Dio!" Rispondo ricambiando il sorriso "non ho mai dormito su un letto così morbido".
"Mi fa veramente piacere" mi dice Woods in modo tenero "scommetto che stai morendo di fame, vero?".
Non mi lascia neanche il tempo di rispondere che, con una spatola, prende delle uova con del bacon e lo mette su un piatto che mi porge quasi subito.
"Buon appetito" mi dice Woods con gentilezza.
Prendo il piatto seduta stante, lo poso sul tavolo dietro di me, mi siedo, prendo una forchetta e inizio a mangiare. Le uova sono così bollenti che mi bruciano il palato ma sono troppo buone per resistere alla tentazione di metterle in bocca.
Poco dopo, lui si siede di fronte a me con un piatto e inizia anche lui a mangiare.
"Ti piace quello che ho preparato o faccio schifo ai fornelli?" Mi chiede con tono simpatico.
"Queste uova sono squisite, professor Woods" gli dico sorridendo.
"Ah... e pensare che a mia moglie non piace la mia cucina" mi dice Woods ridacchiando "come si dice "la spazzatura di un uomo è il tesoro di un altro".
Dopo aver pronunciato tale frase, mi guarda dritto negli occhi. Se fosse un uomo normale, direi che mi guarda come un leone guarda una gazzella. Come il predatore guarda con lussuria la sua preda prima di ucciderla. Ma ho di fronte Woods, quindi dubito che sia come penso.
La giornata trascorre normalmente.
Sono le cinque del pomeriggio e io e Woods stiamo facendo i compiti di letteratura. Si tratta di Walt Whitman e della sua nota raccolta di poesie, Foglie d'erba. I temi principali sono la natura, il contrasto fra l'unità e l'individualismo e la democrazia.
"Perchè Whitman crede che gli Stati Uniti, di tutte le nazioni, hanno più bisogno di poeti?" Mi domanda Woods per vedere se ho capito quello che ho letto. A volte mi dimentico che non è solo un uomo dolce e premuroso ma anche un insegnante.
Gli rispondo e lui mi sorride.
L'ho soddisfatto.
Questo basta a farmi sentire felice.
Accontentare lui è come accontentare mio padre.
"Sei fenomenale, Emma!" esclama Woods "potresti diventare una scrittrice e fare fortuna!".
"No, non fa per me" gli dico "mi piace scrivere ma non voglio fare la scrittrice".
Lui ridacchia sotto i baffi che non ha e dice : "che combinazione strana! Sei così contraddittoria, Emma".
Non mi definirei mai in quel modo, ma non obietto.

Il giorno passa in fretta e arriva la tarda sera di sabato.
Sono seduta sul divano, ancora in pigiama, con Lolita in grembo.
Nel frattempo, vedo Woods andare in cucina e prendere tre bottiglie di birra dal frigo.
Si siede su una poltrona dinanzi a me e inizia a bere.
Normalmente, avrei paura, ma so chi ho davanti.
"Non sapevo che bevete" gli dico.
"Ci sono molte cose che non sai di me" dice poco dopo aver bevuto un lungo sorso "per esempio, non sai che sono ebreo".
"Davvero?" Chiedo quasi stupita.
"Sì, mio padre, Jeremiah Woods, era figlio di Nataniel Waldër, un ebreo tedesco che, nel novembre 1938, a soli diciotto anni, fuggì segretamente dalla Germania poco dopo la notte dei cristalli per timore di finire in qualche campo di concentramento. Fu Aracy De Carvalho a procurargli un documento falso. Partì alla volta degli Stati Uniti e arrivò nell'aprile del 1939. Lì cambiò nome il Nathaniel Woods e sposò, nel 1940, una ragazza di Hartford, Amanda White. L'anno dopo nacque mio padre, che mi ebbe a sedici anni con una ragazza che gli piaceva, che sarebbe mia madre" mi racconta Noah tra un sorso e l'altro "tuttavia, ho smesso ci essere ebreo a diciannove anni. Avevo capito che non era la religione adatta a me. In realtà, nessuna credenza religiosa è per me. Io sono nato per essere ateo. Tu, invece? Credi in Dio?".
Non so come rispondere. Non sono atea, ma dopo tutto quello che è avvenuto con mio padre, non ho più fiducia in Dio. Hai presente quando non odi completamente qualcuno ma comunque ti ha deluso abbastanza da fartelo non piacere così tanto? Questa è la mia relazione con Dio.
"No, non sono atea" rispondo senza aggiungere altro e la conversazione si chiude lì.

Passano due ore. Sono le nove e Woods sta ancora bevendo. Ha svuotato le prime due bottiglie e ora sta svuotando l'ultima a piccoli sorsi. Si vede che è ubriaco. Spero che non  si senta male al punto di vomitare. Non lo auguro a nessuno, tanto meno a Woods.
Poco dopo, finisce anche la terza bottiglia e si alza a fatica dalla poltrona. Barcollando, si mette seduto vicino a me.
Tiene le gambe molto aperte, così tanto che si vede il rigonfiamento del pisello nei suoi pantaloni.
"Hey, Emma..." mi dice sorridendo come un ebete "lo sai che sei molto sexy?".
Lo ignoro. È ubriaco. Non sa quello che dice.
"E... senza questo pigiamino.... saresti ancora più hot" aggiunge dopo una breve pausa.
Continuo a ignorarlo.
A un certo punto, per attirare la mia attenzione, mi accarezza la coscia. La carezza tuttavia non termina mai. Anzi, sento che la sua mano va sempre più in avanti.
Quando cerca di infilarsi nelle mie mutande, mi alzo di scatto.
"Professor Woods, ma cosa fa?" Chiedo stupita.
Non mi aspettavo un comportamento del genere da parte sua.
"Sciogliamo le formalità" dice il professor Woods mentre fa per alzarsi in piedi "puoi chiamarmi anche solo Noah".
Si alza a fatica e barcollando e mi prende per i fianchi.
Sono così vicina a lui che i nostri respiri si mescolano.
Fa per baciarmi ma lo spingo spaventata via da me e corro in camera.
Con le poche forze che ho, riesco a spingere un comò davanti alla porta, per evitare che lui possa entrare.
Lui bussa violentemente alla porta e urla : "Emma, fammi entrare! Fammi entrare, cazzo!".
Impaurita, mi rifugio sotto le coperte e prego quel Dio di cui poco mi fido di mettere fine a tutto questo.
Poco dopo, Woods si stufa e mi lascia in pace.
È la prima volta che ho veramente paura di lui.
Come può un uomo del genere comportarsi così?
Come?

La mattina dopo, esco dalla mia stanza e trovo Woods in cucina, seduto dinanzi al tavolo a bere del caffè. Sembra sobrio e nei suoi occhi scorgo un certo senso di colpa.
Poco dopo, nota la mia presenza e mi dice con pentimento : "scusa per ieri sera... non avrei dovuto bere! Scusami".
In una situazione normale, lo avrei mandato a quel paese e sarei andata via da casa sua. Ma quegli occhi angelici che implorano perdono non mi rendono la cosa facile.
"Va bene" gli dico, sperando che dica la verità.
Lui si alza dal tavolo e viene a stringermi forte a sè.
Mi ricorda uno di quegli abbracci che mio padre mi dava quando mi sbucciavo il ginocchio andando in bici.
Soleva abbracciarmi in questo modo per poi portarmi in braccio fino a casa, dove mi medicava.
Alla fine l'unico motivo per cui sono così legata a Woods è semplicemente perchè mi ricorda mio padre.

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