Prima Parte

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I cimiteri sono luoghi strani, non trovate?
Di giorno si vanno a visitare persone care, nella pace più totale; a volte capita perfino che ci si fermi su qualche altra lapide, si osservi la persona ritratta in foto e si pensi: "Chissà com'è morto."
Oppure: "Chissà che vita conduceva."
O magari no, magari voi non siete persone che si soffermano su queste cose.
Magari andate oltre, magari neanche le vedete le altre lapidi, talmente concentrati a piangere i vostri morti.
O magari al cimitero neanche ci andate.
Forse li preferite di notte, quando tutto diventa più cupo e gli spiriti iniziano a vagare all'interno del perimetro.
Chissà perché non escono mai.
Ve lo siete chiesti?
Magari neanche ci credete ai fantasmi.
No, non le presenze oscure protagoniste dei più disparati film horror.
No.
Parlo di quelle presenze che sono rimaste intrappolate nel limbo, in quel piccolo confine che ancora li lega alla Terra, senza che però riescano a farsi né vedere, né sentire.
Lei ci credeva, anche se il più delle volte si convinceva che fossero solo sciocchezze, idiozie della sua mente.
Ilaria era fatta così.
Al cimitero ci entrava di rado, ma quando succedeva si perdeva a immaginare storie a non finire, magari di qualche incontro con uno spirito; magari di qualche risveglio dei morti, magari di essere proprio lei una di quelle fantomatiche presenze.

Soleva portare sua nonna a trovare il defunto marito, anche se a lei poco importava; però le piaceva soffermarsi sulle lapidi altrui, pensare di cosa potessero essere morti, che vita conducessero, rilegare a quella foto e a quel nome un perché dell'esistenza.
Sì, non era una ragazza molto socievole.
Però, anche quando sua nonna venne a mancare, si rese conto che il desiderio di questa di andare a trovare il marito per sentirlo più vicino, non era una grande falsità.
Cominciò ad addentrarsi in quel luogo di pace più spesso, riuscendo a scoprire un lato di se stessa che non credeva possibile: parlare con i morti.
No, non letteralmente.
I nonni l'avevano accolta come loro figlia quando era nata, aveva sempre vissuto con loro, ma non si era mai resa conto del bene che potesse provare; non dimostrava quasi mai affetto nei confronti dei famigliari e spesso, al contrario, ci litigava per qualsiasi cavolata.
Infatti si stupì quando il voler parlare con dei defunti diventò un bisogno estremo.

Ogni domenica si recava al cimitero, verso le tre del pomeriggio.
Era entusiasta di trovare solamente due o tre persone che neanche le stavano tra i piedi: era proprio quello che voleva.
Si sedeva sulla tomba dei nonni e iniziava a parlare.
Del lavoro, degli amici, dei colleghi, dei genitori, perfino delle sue stupide cotte.
A vederla dall'esterno sembrava una pazza uscita dal manicomio.
Rideva, gesticolava, a volte addirittura piangeva.
Però stava bene, tutto sommato.

L'estate era sempre più calda e trovarsi al cimitero alle tre del pomeriggio non era proprio una grande idea; eppure Ilaria non avrebbe immaginato una domenica senza parlare con i suoi nonni defunti.
Cambiò orario.
Al pomeriggio faceva troppo caldo? Poteva benissimo andarci poco prima dell'orario di chiusura.

«Come si sta bene, oggi... non trovi, nonno?»

La ragazza alzò lo sguardo verso il cielo che iniziava ad accogliere la sera, per poi riportare gli occhi sulla foto dell'uomo quasi del tutto pelato, ma con due vividi occhi verdi.

«Questa settimana al lavoro è stato un inferno... senza denigrare quello vero, sia chiaro.»

E rise.
Una di quelle risate che contiene il sarcasmo che si usa per fuggire dal malessere quotidiano e non.
Ma lui lo aveva capito, oh, eccome se lo aveva capito.
Ormai da mesi si appostava in un angolino, proprio poco distante dalla ragazza, e la ascoltava parlare con una naturalezza tale da fargli mancare il fiato.

"Nessuno ha mai parlato così con me."

Pensava spesso, osservando gli occhi scuri di lei brillare sotto il sole.
In effetti gli sarebbe piaciuto avere qualcuno di speciale al proprio fianco, ma era troppo tardi, purtroppo.

«Spero che non mi licenzino, nonna... come farò ad aiutare la mamma poi? E come potrò realizzare i miei sogni?»

La voce di Ilaria si incrinò di poco e Orlando percepì un sussulto provenirgli dal cuore.
L'aveva vista qualche volta versare delle lacrime, ma in quel momento era diverso, era come se sentisse la sua sofferenza.
Ma come poteva, se per primo lui non aveva sentimenti?

«Nonna, i miei colleghi sono così simpatici e disponibili... mi hanno insegnato molto e per un piccolo errore ora verrò mandata via... chi lo dirà al papà?»

Un singhiozzo sferzò l'aria e Orlando trattenne il respiro.
Rettifico: avrebbe trattenuto il respiro se solo ne fosse stato in grado.

«Non voglio cercare altro, nonni, non ce la faccio... anche se ho solo ventidue anni, non voglio riniziare tutto da capo...»

Le mani di lei andarono prima a stringere il tessuto già sgualcito della propria maglietta, poi si posarono delicatamente sul viso, ma solamente per poter scavare nella propria pelle.
Iniziò a graffiarsi le guance, la fronte, il collo, senza smettere un secondo di lasciare che il fiume che si portava dentro da tempo si fermasse.
Solo con i suoi nonni si sentiva libera di poter essere ciò che voleva.

«Che stupida!» disse poi, in preda alla rabbia. «Parlo da sola come una cogliona, a cosa mi serve?! Non cambierò mai la mia vita se continuerò così.»

E detto ciò si alzò in piedi, con le lacrime ad asciugarsi sulle gote e lo sguardo fisso sulla tomba.

«Non me ne faccio nulla di voi, in fin dei conti... neanche potete rispondere, neanche potete capirmi...» Un paio di lacrime scesero nuovamente lungo le sue guance arrossate. «Addio, nonni...»

Forse era la rabbia a parlare.
Forse la delusione.
Forse solo la tristezza.
Oppure tutte e tre assieme.

Orlando scattò, in preda ad un'irrefrenabile voglia di correrle dietro, ma rimase paralizzato quando provò a parlare e le corde vocali non risposero ai suoi comandi.

Come poteva essersene dimenticato?

I fantasmi non parlano.

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