Diciottesima Parte

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Per una volta che si trovava a fare parte del mondo reale non c'era soluzione al suo dilemma.

Continuava a pensare, passeggiando avanti e indietro per tutto il cimitero, mentre la gente visitava i propri cari con tranquillità.

Era riuscito a sfiorare la sua piccola Ilaria e questo non gli dava pace.

"Com'è possibile?" si ripeteva nella mente, sbuffando di tanto in tanto.

Intanto il sole stava per tramontare e i cancelli dovevano essere definitivamente chiusi al pubblico; la stagione autunnale era sempre più vicina e il freddo iniziava a sentirsi.

Le scuole sarebbero iniziate da lì a qualche settimana e Orlando si chiedeva se la sua Ilaria sarebbe venuta con la stessa frequenza.

In inverno le persone non vogliono andare al cimitero e congelarsi il sedere solo per guardare le foto di persone che non ci sono più.

Sapeva che lei era diversa e molto probabilmente sarebbe venuta lo stesso, ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo.

Tornò per un secondo alla sua tomba, stanco di girovagare con la testa piena di pensieri, ma notò qualcosa di strano.

Doveva essere successo quel giorno, per forza.

Un foglio appeso proprio sulla sua foto recitava: "Prossima sepoltura: famiglia Daperio."

Cosa voleva dire?, si chiese.

Lui non aveva nulla a che fare con quella famiglia, perché avrebbero dovuto metterla proprio nel suo loculo?

Una strana sensazione gli attaccò la pancia e si avvicinò al luogo in cui giaceva il suo corpo ormai putrefatto, provando invano a scostare quell'avviso per scoprire la sua immagine.

Un moto di rabbia si insidiò nel suo animo e cacciò un urlo che fece scappare tutti gli uccelli nella zona.

Il cielo diventava man mano più scuro come il suo umore, ma non sapeva come capire cosa stesse succedendo.

Si maledisse perché avrebbe dovuto stare più attento piuttosto che pensare continuamente a qualcosa di impossibile, ma come poteva saperlo?

Per tutto quel tempo era rimasto lì, sotto strati di cemento e maledizioni varie, perché proprio in quel momento volevano aggiungere una famiglia nuova?

Si lasciò cadere accanto alla sua lapide, lanciando occhiate al foglio incriminato: in fondo sapeva di meritarselo.

Il solo fatto di avergli concesso un posto in cui riposare doveva essere considerato un gesto umano nonostante tutto il dolore che aveva portato.

La consapevolezza che presto qualcuno gli avrebbe fatto compagnia in quello spazio angusto sopraggiunse con tutta la sua forza e lo travolse in un mare di pensieri che non lo lasciarono in pace per tutta la notte.

Se solo avesse saputo cosa sarebbe davvero successo di lì a poco non avrebbe certo perso tempo a pensare.

***

Il sonno di Ilaria fu disturbato; i sogni che la svegliavano in piena notte, facendola sudare, avevano come protagonista il ragazzo che solo poche ore prima l'aveva salvata da una fine orribile.

In quel preciso istante riusciva a sentire solo il calore e la protezione che le trasmettevano il suo corpo e alla sensazione piacevole che provava standogli così vicino.

Non avrebbe voluto staccarsi da quell'intimità così inaspettata e invece lui le aveva rivolto uno sguardo quasi terrorizzato e l'aveva allontanata, chiedendole se stesse bene.

«Tra le tue braccia sì» avrebbe voluto rispondere.

Però non poteva dire quel tipo di cose a uno sconosciuto.

La ragazza si alzò dal suo giaciglio e andò verso il bagno per sciacquarsi il viso e ritrovare un po' di lucidità.

Aveva ancora il sapore salato delle sue lacrime in bocca e non riusciva a dimenticare gli occhi spaventati di Teodoro che la supplicavano di andare via.

Non capiva perché quel ragazzo dovesse essere presente perfino nei suoi sogni: non poteva rimanere lontano e basta?

L'acqua scivolò sulla sua pelle e qualche goccia arrivò a caderle sul pigiama; il rubinetto perdeva e il ticchettio era più fastidioso e pungente di quello di un orologio.

"Chissà se lui mi sogna" si chiese, mentre osservava in silenzio ciò che si intravedeva del suo riflesso allo specchio. "Perché tocca a me questa tortura?"

Sospirò, come se potesse liberare i suoi brutti pensieri e lasciarli vagare lontano da lei, per poi tornare verso il letto, sdraiarsi e fissare il soffitto: non sarebbe stato semplice.

Neanche Teodoro però se la passava benissimo.

La sua salute peggiorava di giorno in giorno e le sue continue visite al cimitero non potevano certo aiutare la situazione.

«Devi riposare» gli aveva detto Marianna, l'infermiera che si prendeva cura di lui andando a casa sua. «Non ti puoi permettere di stare fuori così spesso.»

Aveva passato la sua mano vellutata sulla guancia di lui e poi gli aveva sorriso, come se fosse una madre che provava a richiamare il figlio ma senza essere troppo dura.

Però lei non era sua madre.

«Non sei mia madre.»

Lo sguardo di lei si era rattristato e aveva solo annuito, alzandosi e lasciandolo solo in stanza.

Non voleva essere cattivo, sapeva bene quanto aveva e stava facendo per lui, per la sua malattia e la sua vita; certo, era il suo lavoro, ma era stata presente in momenti in cui pensava davvero che non ce l'avrebbe fatta.

Quindi non voleva ferirla, però il pensiero che gli fosse proibito di uscire e che gli venisse tolta l'occasione di vedere anche solo per un minuto Ilaria, gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

Si sistemò nel letto, pensando alla povera Marianna e alla povera Ilaria.

La prima perché stava sacrificando tutta se stessa per dargli una mano, pur consapevole che non si poteva fare proprio niente; e la seconda perché si era reso conto di averla lasciata andare troppo bruscamente quel pomeriggio.

Si chiese cosa avesse pensato di lui.

Magari che non era abbastanza uomo per proteggerla, o... chissà cos'altro.

Diede uno sguardo alla foto di sua madre posta sul comodino poco distante da lui: quello era l'unico oggetto in grado di regalargli un po' di calma quando il suo cervello andava in escandescenza.

Gli occhi buoni e il sorriso sincero sembrava che dicessero: "Va tutto bene, io sono qui."

E lui avrebbe tanto desiderato che fosse davvero lì, anche se una consolazione gli era rimasta: presto sarebbero stati di nuovo insieme.

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