Seconda Parte

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Ilaria era decisa: non doveva più tornare in quel luogo così familiare quanto ostile, sapeva che le avrebbe fatto male.
La sua vita sociale andava sempre più scemando e ormai aveva compreso che trovare un ragazzo era una delle priorità, oltre che provare ad aggiustare il danno che aveva combinato.
D'altronde riuscire a far perdere cinque mila euro di fatturato all'azienda poteva benissimo essere risolto, giusto?
Ma lei non ne era troppo sicura e, a dir la verità, neanche il suo capo.
Eppure se non voleva rischiare di essere cacciata di casa e iniziare una nuova vita, doveva per forza provarci.

Orlando, al contrario, stava benissimo nel suo paradiso.
Da quando Ilaria era scappata senza tornare più aveva atteso per giorni che parevano infiniti, appostandosi nel solito angolino, ma nulla, non si era fatta vedere.

"Magari torna", aveva pensato dopo quelli che gli sembravano essere venti giorni, osservando la tomba vuota dei nonni.

Però si era arreso quando, dopo ancora una settimana, aveva compreso che quando le persone prendono una decisone così radicale, in un momento delicato, sono decisioni del tutto stupide e insensate.
Ma durature.
Egli stesso era consapevole della scelta malsana con cui aveva deciso di convivere per tutto il resto della sua miserabile vita.
In fondo, però, non gli era mai dispiaciuto fare del male agli altri.
A tredici anni e con nessun futuro di fronte, le scelte non sono molte, soprattutto nella prima metà del ventesimo secolo.
Orlando non proveniva da una famiglia agiata o acculturata o, addirittura, etica.
Per lui rubare, uccidere, recare sofferenza, sopraffare il prossimo e sopravvivere erano azioni all'ordine del giorno; all'età di sedici anni aveva imparato - poco prima della Seconda Guerra Mondiale - ad utilizzare una pistola e gli era stato insegnato da suo zio.
Uno zio come lui, però, non lo avrebbe augurato a nessuno.
Era un amico di Mussolini e Dio solo poteva immaginare che ideologia si era fatto della supremazia sulle altre nazioni.
Orlando inizialmente fu grato all'uomo; un ragazzino ingenuo come lui non aveva certo le facoltà per comprendere la crudeltà delle azioni che compiva.
Si avvicinò allo zio quando i suoi genitori divennero ancora più poveri e questo si offrì di tenerlo sotto la propria Ala Protettrice.
Ma l'unica cosa a cui teneva, era la fragile mente di Orlando, sempre più ammaliato dal potere che lo zio gli poteva offrire.
Essere accanto a Mussolini, del resto, era un'ambizione che tutti potevano solo sognarsi.
Eccetto lui.

Pian piano quello stava diventando il suo mondo e a vent'anni uccise la sua prima vittima.
Ce ne furono altre sei.
E anche dopo la discesa di Mussolini e del partito fascista, non si arrestò: chiunque gli mettesse i bastoni tra le ruote finiva sottoterra, o, alla peggio, fatto a pezzi.
Non c'erano limiti, non c'erano regole, se non quelle dettate da lui stesso, e non c'erano rimorsi.
Uccidere era diventato quasi un piacere.
Quasi; ma solo solo perché l'unico briciolo di umanità lo provò nell'ammazzare la madre che voleva riportarlo sulla retta via.
Fu devastante, anche se non se ne rendeva conto, e fu anche il suo ultimo delitto.
Diana, una delle poche alleate con cui aveva avuto il piacere di intrattenersi intimamente e confidarle qualche segreto, era stata così intelligente da distinguere il bene dal male.
Lui era il male e andava debellato.
Così, all'età di trent'anni e due mesi, la sua vita finì.

E allora come mai dalla sua presentazione non si è dedotta così tanta malvagità?

Quando si rese conto di riuscire a osservare ancora la Terra a cui era ancorato, provò in tutti i modi a farsi sentire da qualcuno, far capire che poteva ancora esistere; eppure nessuno avvertiva la sua presenza.
Anzi.
Chiunque passasse di fianco alla sua rude tomba ci sputava sopra, rideva e godeva della sua tragica morte, mentre Orlando era costretto ad assistere a tutto quello.
In fondo come si può provare pena per qualcuno che ha causato così tanto male?
Nessuno portava fiori.
Nessuno curava la sua casa.
Nessuno lo andava a trovare.

Gli anni passavano e Orlando si rendeva sempre più conto di ciò che aveva fatto, di ciò che la Guerra aveva causato e di ciò che suo zio gli aveva insegnato: il male puro.
I rimorsi emersero lentamente, ma emersero, tanto che pensò di essere nel suo inferno personale.
Non poteva farsi vedere o sentire e non poteva neanche allontanarsi dalle mura di quel ridicolo cimitero.
Con l'avvento dei primi segni di tecnologia, però, capì che non poteva essere tutto un piano divino per fargli scontare il male che aveva recato e, in ciò che rimaneva della sua mente, iniziò a pensare che non fosse mai passato oltre.

Non poteva certo tenere il conto del tempo trascorso, ma era certo che almeno una quindicina d'anni fossero passati.
Se solo avesse compreso che n'erano passati ben più del quadruplo!
Orlando continuava ad osservare i mutamenti sociali, tecnologici e imparò perfino il linguaggio buffo dei giovani dell'epoca.
Viveva in mezzo a loro senza sapere di farlo.
Questo lo teneva meno solo, ma pur sempre confinato.

Poi arrivò Ilaria: stramba come nessuna e altrettanto forte.
Non aveva mai assistito a qualcuno che si fermasse a parlare con dei morti per più di cinque minuti; invece lei riusciva a passarci le ore, senza stancarsi.
Sentire quella voce decisa e matura mentre raccontava senza freni delle sue esperienze, lo facevano sentire più vicino alla vita di quanto lo fosse mai stato in realtà.
In fondo era consapevole che se non fosse stato per suo zio, probabilmente sarebbe morto molto prima di fame o di qualche malattia; alla fine, pensava, era stata la sua unica scelta di sopravvivenza.
Ma com'era sopravvissuto?
Recando sofferenza e morte agli altri?
Tanto valeva morire insieme alla sua famiglia, in modo più umile e decoroso.

«Nonna...»

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