Dodicesima Parte

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Ilaria non era mai stata brava a nascondere i propri sentimenti.

Quando era nervosa, triste, gioiosa, euforica, riusciva sempre a trasmetterlo agli altri, volente o nolente.
Ogni fibra del suo corpo reagiva come se fosse indipendente dal suo volere.
Le si leggeva in faccia se qualcosa non andava, nonostante potesse sforzarsi a nasconderlo.

Orlando lo stava capendo, questo tratto di lei, anche se sapeva benissimo che con lui non fingeva.
Certo, c'era quel piccolo dettaglio che non sapeva nulla di lui, ma la sostanza non cambiava: con lui era se stessa.

Questo, in parte, lo rassicurava; si sentiva sollevato nel sapere che lei si lasciava andare al suo io più nascosto.

Con gli altri era diverso.
Il sorriso che le sfiorava le labbra sembrava vero e sincero, ma la verità era che di genuino non aveva niente.
Si sforzava di far creder che tutto potesse andare bene, forse a tal punto di crederci anche lei.

Ma non andava bene.
Non andava bene al lavoro, non andava bene a casa, non andava bene con gli amici, non andava bene con i ragazzi e non andava bene neanche nella sua mente.

Quel giorno i suoi capelli erano diversi.
Si dice che quando una donna cambia taglio allora cambia se stessa.

Orlando quando la vide entrare con un vestito e un mazzo di fiori bianchi, si stranì.

Quella non era Ilaria.

Ma le somigliava.

La donna continuò a camminare in direzione della stessa tomba in cui andava la ragazza e vi posò il mazzo con delicatezza, rivolgendo alle due foto un timido sorriso.

La somiglianza era davvero notevole e quando le si avvicinò poté notare la sua reale età: che potesse essere sua madre?

Il fantasma rimase accanto a lei, osservando gli occhi scuri e le lievi rughe sul suo viso.
Aveva le stesse labbra carnose e il seno prosperoso di Ilaria e la cosa lo fece sorridere.

"Non ti ho mai vista, cosa ci fai ora qua?" pensò lui, senza lasciare i movimenti cauti della donna.

La domanda della presenza era lecita: perché andare a trovare i genitori dopo così tanto tempo?

«Mamma, che ci fai qui?»

Non l'aveva sentita arrivare e per quello la sua voce gli risultò una piacevolissima sorpresa appena la sentì.

«Oh, tesoro, come stai?»

La donna si avvicinò alla figlia e le circondò il corpo con le braccia; questa rimase pietrificata per qualche secondo, ma poi, inaspettatamente, esplose in un sonoro pianto.

La madre si irrigidì sul posto, non capendo cosa le avesse provocato quella reazione, ma in fondo sapeva che era anche colpa sua: non si vedevano da troppo tempo e non era stata abbastanza presente nella sua vita.
«Amore, non piangere. So che non ti sono stata accanto in questo periodo e me ne dispiace davvero tanto, ma sappi che sei sempre nei miei pensieri.»

Ilaria smise per un secondo di piangere e una risata estranea si espanse sul petto della madre.

«Mamma, non è colpa tua... avevo solo bisogno di sfogarmi e tu sei una delle poche con cui riesca...»

Un sorriso campeggiò sul suo volto, staccandosi da quel contatto così primordiale e pieno d'amore.

La madre rimase a guardare i suoi occhi lucidi e rossi, evidenziando le sfumature verdi delle sue dolci iridi malinconiche. Il cuore le si spezzò vedendo la fragilità con cui sua figlia cercava di affrontare la sua situazione da sola e si maledisse per non esserci.

«Ascoltami,» le prese il viso tra le mani, «so che ora è tutto un casino, ma quando vuoi io ci sono per te. Possiamo vederci, parlare e... potrai venire a stare da me quando vorrai, questo lo sai benissimo.»

Ilaria sospirò e chinò il viso verso il basso.
Sapeva benissimo che la madre l'avrebbe accolta senza pensarci due volte e lei lo voleva, desiderava stare con lei, ma non poteva.

«Mi piacerebbe davvero, ma non posso lasciare tutto e andare, anche se lo desidero tanto.»

Un'altra lacrima sfuggì al controllo della ragazza e la madre non perse occasione per avvolgerla di nuovo con sue braccia.
Entrambe erano consapevoli del fatto che tutta la loro vita era un casino, che stare insieme era un ostacolo bello grosso, però sapevano anche che ci sarebbero state l'una per l'altra in ogni occasione.

«Ricordati sempre che ti voglio bene.»

E detto ciò la strinse a sé, cercando di trasmetterle tutto l'affetto che provava, come se quelle parole volesse fargliele sentire addosso.
Come se potessero marchiarsi sulla sua pelle in un'indelebile promessa che non sarebbe mai stata infranta.

Quando le lasciò un po' di spazio, ne approfittò per darle un lieve bacio sulla fronte, suggellando quel patto taciturno.

«Anche io te ne voglio, tantissimo.»

Si passò una mano sotto gli occhi, togliendo l'umido delle sue debolezze e sforzandosi di fare un sorriso genuino alla sua creatrice.

Orlando rimase ad osservare la scena, chiedendosi perché la sua famiglia non lo avesse mai trattato con tanta delicatezza.
Poi pensò alla madre, la donna che lo aveva messo al mondo e lui, in cambio, le aveva tolto la vita in modo così crudele, solo perché lo ostacolava.

La vista delle due fanciulle che si scambiavano quell'affetto profondo, lo fece pentire di ogni azione.
Avrebbe voluto che Angelina lo stringesse tra le braccia e gli cantasse la sua ninna nanna preferita; avrebbe voluto perdersi nella sua calda voce, stanca ma felice di aver generato una vita; avrebbe voluto essere diverso e dare amore anziché odio.

Un fruscìo destò i pensieri del fantasma, portandolo a guardare in direzione di un cespuglio non troppo lontano dalla loro posizione: anche Teodoro stava osservando la scena.

A Orlando scappò una risatina: lo sguardo attento, le labbra appena socchiuse, il corpo fattosi piccolo per nascondersi, le mani sbiancate dalla paura di essere scoperto e il respiro accelerato.

Stava spiando quel momento così intimo tra madre e figlia e se ne vergognava, eppure non poteva farne a meno: gli ricordava la sua di madre.

Quell'abbraccio lo tenne con gli occhi incollati a loro due, ai loro corpi, alla loro somiglianza e all'affetto che le legava; avrebbe tanto voluto provare di nuovo la sensazione di stare con la donna che gli aveva dato la vita, ma sapeva che sarebbe accaduto solo con la morte.

Quindi, forse, molto presto.

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