Quattordicesima Parte

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Come si erano ritrovati all'ombra sotto un albero, seduti sulla panchina, lo sapevano bene; quello che non sapevano era cosa dirsi.

La voglia di condividere lo spazio non bastava e quel silenzio stava diventando sempre più imbarazzante.

Orlando invece quasi rideva nel vederli in una situazione tanto impacciata; lui era sempre stato bravo con le donne, aveva uno charme non indifferente e ogni essere femminile cadeva ai suoi piedi come niente.

Ilaria l'avrebbe conquistata in meno di un minuto; o forse no.

«È una bella giornata oggi, no?»

Il goffo tentativo della mora fece sorridere il fantasma e agitare l'altro.

«Sì, anche fin troppo calda per i miei gusti.»

Ilaria puntò gli occhi nei suoi e aggrottò le sopracciglia.

«Ti senti poco bene? Vuoi che andiamo da un'altra parte?»

Teodoro si sentì decisamente fuori luogo e si chiese se si vedesse qualche strano pallore sul sul volto.

«N-no, sto bene, solo che è una giornata particolarmente calda...»

L'incertezza nella sua voce era palpabile e Ilaria pensò di aver detto qualcosa di male.

Forse era stato inopportuno preoccuparsi così tanto per un ragazzo normale.

Ma, in effetti, pensandoci bene, lui non sembrava affatto normale; non avere neanche un pelo sul viso le fece pensare che potesse avere qualche patologia.

«Come mai sei pelato?»

Lo chiese con tutta l'innocenza del mondo, la sua voce era uscita fluida, soave, calma, ma il ragazzo non poté fare a meno che sentire un grosso peso all'altezza del cuore.

Quella domanda così scomoda non doveva essergli posta in quel modo, non perché si sentisse offeso, ma perché non si sentiva ancora pronto a parlarne.

Le iridi opache di Teo si posarono in quelle di Ilaria e tutto rimase immobile per qualche secondo.

Ciò che sentirono entrambi fu una specie di scossa nello stomaco a cui non sapevano attribuire un motivo.

«E tu perché hai fatto un pompino al tuo capo?»

Non voleva risultare così scontroso, ma il tasto che stava toccando la ragazza era qualcosa di troppo delicato.

Chiunque si sarebbe aspettato che lei si alzasse indignata e lo lasciasse lì da solo, oppure che gli tirasse uno schiaffo così forte da far risvegliare i morti, eppure non fece nulla di tutto ciò.

Alzò un angolo della bocca e lo guardò di sbieco.

«Ho fatto un danno bello grosso in azienda e le opzioni erano essere licenziata o rientrare nelle grazie del capo...» il suo viso si fece d'un tratto più cupo; «e mi sarebbe piaciuto molto di più cercarmi altro, ma ora come ora non me lo posso permettere e ho dovuto agire di conseguenza... anche se la cosa mi fa enormemente schifo.» Ilaria trasse un respiro profondo e si girò verso la distesa di tombe. «La mia famiglia è in crisi, mia mamma è andata a trasferirsi in un'altra città con il suo ragazzo e le poche volte che sto con mio padre e sua moglie, lui mi tartassa, dicendo che non avendo voluto fare l'università ora mi devo arrangiare da sola, pagandomi ogni minima spesa... quindi ho optato per stare da sola, nella casa in cui prima ci vivevano i miei nonni. Non devo pagare l'affitto e posso godermi la solitudine, anche se a volte diventa addirittura troppa...»

L'unico suono che spezzò il discorso fu il sospiro strozzato della ragazza, che cercava in malo modo di trattenere le lacrime.
Confidarsi così tanto con uno sconosciuto era inaspettato: le era venuto più spontaneo di quello che si aspettava.

Magari in cuor suo credeva che lui non l'avrebbe giudicata, oppure che l'avrebbe giudicata talmente male da potersi difendere dicendo che comunque non la conosceva davvero.

O forse voleva solo qualcuno a cui dire tutto senza preoccuparsi delle conseguenze che potevano riversarsi su di lei.

Se avesse detto alla madre di tutte le storie che le faceva il padre non ci avrebbe pensato due volte ad affrontarlo per fargli abbassare la cresta, il problema era l'imprevedibilità del carattere di lui.
Già in passato si era dimostrato incline alla violenza e non si sarebbe mai perdonata per aver fatto del male alla madre, anche se indirettamente.

Doveva solo farsi andare bene quella situazione.

«Mi dispiace tantissimo, davvero.»

Le dita di Teodoro sfiorarono la pelle calda della ragazza e questa mosse velocemente il viso verso di lui, incastrandolo con gli occhi lucidi.

Il respiro le si fece pesante e deglutì più volte per rimandare quel groppo amaro in fondo al cuore, ma quello non ne voleva sapere di sparire.

Raccontare la sua storia la fece alleggerire, ma inevitabilmente sentire in trappola della sua stessa vita, delle sue scelte.

E quando una lacrima le scivolò lungo la guancia, nessuno dei due si aspettava che Teodoro potesse raccoglierla con il dito e rimanere ad accarezzare la sua pelle solcata da piccole imperfezioni giovanili.

Avrebbe voluto dirle qualche parola di conforto, ma era talmente devastato dal suo stesso impulso, che tacque, limitandosi a non lasciare il suo sguardo.

Dopo qualche attimo di confusione, Ilaria portò la mano sulla sua e, sorridendo lievemente, la tolse dal suo viso, imprigionandola nella sua.

«Ora tocca a te, però.»

Si sforzò di esibire un sorriso e al ragazzo sembrò mancare il respiro; non poteva certo tirarsi indietro proprio in quel momento, non dopo che lei si era lasciata andare, mostrando tutta la sua debolezza.

Chiuse gli occhi e si liberò dalla presa, congiungendo le mani in una morsa spietata per la sua pelle: doveva raccogliere tutte le sue forze più remote per esternare il groviglio di casini che si portava appresso.

Un lieve venticello accarezzò la pelle di entrambi, come se volesse far capire loro che c'era qualcuno dalla loro parte, che li avrebbe sostenuti e protetti da ogni sofferenza.

Possiamo chiamarlo vento, oppure Orlando.

Quando li sfiorò, contemporaneamente, una scossa si espanse in tutta la sua sostanza, regalandogli una sensazione che non aveva mai provato, non sotto quella forma almeno.

Rimase allibito quando li vide quasi abbandonarsi al suo tocco che credeva impossibile da sentire, ma lui sapeva che invece lo avevano avvertito.

Ancora di fronte a loro, in trepidazione per la scoperta appena fatta, udì forte e chiara la risposta del ragazzo.

«Ho la leucemia.»

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