Diciannovesima Parte

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Era il quattro settembre.

Se lo ricordavano bene.

Il sole splendeva nel cielo e le temperature non erano ancora calate; Ilaria indossava ancora le canottiere, Teodoro se ne stava rintanato in casa e al cimitero tirava un'aria pesante.

Erano arrivati dei muratori, ancora sudati per lo sforzo di trasportare gli strumenti da lavoro nel luogo sacro e Orlando li teneva d'occhio come fossero ladri in casa sua.

E in effetti era un po' così.

Tutto il materiale venne posizionato proprio accanto alla tomba del fantasma.

"Dovranno costruire la dimora eterna della nuova famiglia", pensò lui, appostandosi poco distante e osservando ogni loro mossa.

Nel frattempo la ragazza aveva varcato la soglia del cimitero e si era diretta come al solito dai propri nonni, solo che quel giorno era diverso: non voleva parlare con loro, voleva parlare con Teodoro.

Sperava con tutto il cuore che lui fosse lì, magari a osservarla in silenzio, ma che ci fosse, quindi avanzò decisa, con quella speranza nel cuore che le regalava il sorriso.

«Buongiorno nonni!» aveva esordito, osservando i fiori appassire lentamente. «È ora di cambiarvi, vero?» concluse, afferrando i gambi ed estraendoli dal loro contenitore.

Si diresse verso la fontanella vicino alla quale c'era il bidone apposito per loro, finché non vide gli operai che stavano lavorando vicino ad una lapide.

Curiosa com'era non esitò molto ad avvicinarsi per capire cosa stesse accadendo e fu in quel momento che lesse il suo nome: Orlando Libertini.

Lui la vide mentre leggeva e un fremito gli attraversò il suo inesistente corpo, avvicinandosi.

«Ragazzina, non puoi stare qui, stiamo lavorando!» la rimproverò uno degli operai.

Lei si riscosse immediatamente e annuì, allontanandosi con calma, ma non prima di aver guardato la foto dell'uomo.

Nonostante fosse logora e sporca, si potevano intravedere gli occhi blu accesi e una capigliatura nera e folta, completata da una barba non troppo curata. Nessun sorriso sulle labbra e Ilaria si sentì pervadere da un senso di tristezza immediata.

Era come se quell'uomo non avesse mai sorriso nella sua vita, ma non sapeva spiegarsi perché proprio quel pensiero aveva colpito il suo cervello.

Scosse la testa, provando a scacciare quello strano pensiero mentre tornava alla tomba dei suoi nonni.

Il fantasma la scrutò con attenzione, ogni mossa del suo volto quando la vide guardare il suo ritratto.

"Cosa avrà pensato di me?", si chiese immediatamente, mentre la figura di lei scompariva dietro gli alberi.

Avrebbe voluto seguirla, capirla, osservarla, ammirarla, ma qualcosa lo teneva inchiodato a quegli operai: doveva accertarsi del lavoro che avrebbero fatto.





Teodoro nel frattempo fissava il soffitto monocromatico dell'ospedale.

Marianna aveva tanto insistito che si facesse nuovamente controllare da un medico, come se quel luogo non avesse fatto abbastanza parte della sua vita fino a quel momento.

E ogni volta che ci tornava poteva sentire il respiro scostante della madre che provava invano a nascondere dietro un finto sorriso.

«Deve riposarsi e non fare sforzi eccessivi... le cure stanno diminuendo il rischio di morte, ma non durerà a lungo se continuerà con questo stile di vita.»

Il medico era stato chiaro, ma il ragazzo sbuffò contrariato.

«Magari è anche meglio se muoio.»

«Cosa?!» 

Marianna non era concorde con lui, come avrebbe potuto? Nonostante lui continuasse a tenerla a distanza pensando che volesse sostituire la sua genitrice, lei si era imposta che avrebbe fatto di tutto per proteggere quel ragazzino scapestrato che sapeva essere in grado di dare molto.

«Almeno andrei con la mia vera madre.» 

Teo fulminò la donna con lo sguardo, ma questa non si perse d'animo e scosse lievemente la testa, alzando gli occhi al cielo.

«Andiamo a casa, forza» disse infine, scartando ogni battuta possibile che le era balenata per la mente in quei cinque secondi di silenzio.

Lui fu costretto a seguirla, mentre la osservava con attenzione: il vestito sotto al ginocchio con la stampa di buffi fiori colorati, le scarpe da ginnastica logore, il giacchino giallo senape che indossava costantemente e i capelli sfibrati, dovuti alla poca cura verso di sé.

In fondo Teodoro sapeva che era colpa sua se la sua infermiera non aveva una vita propria: un uomo, una famiglia, un hobby, un qualsiasi pensiero che non riguardasse la sua malattia.

Forse anche per quello avrebbe voluto morire, così lei sarebbe stata libera dalle catene che la legavano inevitabilmente a lui.

Certo, d'altronde poteva andarsene quando voleva, niente di fisico la legava al ragazzo, però Teo sapeva che la responsabilità che aveva nei suoi confronti andava ben oltre il suo volere.

Forse anche per quello si ostinava a ricordarle che non era sua madre, non voleva  che soffrisse come se fosse stata tale al momento della sua morte.

«A cosa pensi?» le chiese lei, una volta saliti in auto. Vederlo così immerso nei suoi pensieri era tipico di lui, ma la sua curiosità non si sarebbe mai fermata: voleva che si aprisse con qualcuno.

«A te» rispose lui, sbalordendo la ragazza che bloccò le sue mosse per qualche secondo.

«A me?»

Pensò di aver capito male, di essersi immaginata la risposta, ma non era così e a confermarglielo fu lui che ripeté la medesima frase.

Voleva sapere a cosa stesse effettivamente pensando, ma si limitò a sorridere e a rincuorarsi del fatto che forse, in fondo, lui un po' ci teneva.





Ilaria sospirò quando si rese conto che Nessuno sarebbe passato quel giorno dal cimitero.

«Non so perché sono ossessionata da lui, nonno. Voi maschi riuscite a entrarci nella testa e infestarla come i fantasmi fanno con le case.»

"O i cimiteri",  aggiunse Orlando, con un mezzo sorriso.

Aveva lasciato gli operai qualche minuto poiché erano in pausa e voleva proprio sapere cosa stava facendo la sua piccola stella.

"E anche voi donzelle riuscite sempre a impossessarvi dei nostri pensieri. Ecco perché erano considerate streghe solo le donne."

La delicatezza di Orlando non si era ancora del tutto affinata, ma per lo meno non nutriva più un particolare odio nei confronti di nessuno; a eccezione di chi provava a fare del male alla sua piccola Ilaria.

«Oh, finalmente quel bastardo se n'è andato!»

Quelle urla destarono la ragazza dal pensiero di Teodoro e la portarono ad alzarsi e seguire il frastuono: sembrava stessero smontando l'intero cimitero.

Svoltò l'angolo con al seguito il fantasma e la polvere della terra la investì, facendola tossire compulsivamente.

Appena la scena tornò più chiara i suoi occhi si aprirono per la curiosità, mentre quelli di Orlando si spalancarono dal terrore.

Non era decisamente quello che si aspettava.

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