Decima Parte

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Un brivido percorse la schiena di Ilaria, costringendola a deglutire con forza, mentre le parole appena pronunciate dal ragazzo le perforavano i timpani come se fossero state urlate con tutto il fiato possibile.

Nessuno, dal canto suo, aveva abbassato lo sguardo, quasi si sentisse in colpa per aver osato dire una tale assurdità.

Ma pensandoci bene non lo era.

E lo sapevano entrambi.

Orlando rimase fisso con lo sguardo sul ragazzo, con i pugni chiusi e una rabbia palpabile.

"Cosa ne sai tu della morte, ragazzino?" pensò nervoso, avvicinandosi con uno scatto.

Certo, chi era lui per nominare quel nemico crudele se aveva solo una ventina d'anni?

"A meno che..."

Il pensiero di Orlando si interruppe così, senza che potesse continuarlo, come se si fosse auto troncato sul nascere.

«Tocca a tutti prima o poi...»

La frase di Ilaria rimase sospesa nell'aria per diversi secondi, poi Nessuno alzò gli occhi nuovamente nei suoi e accennò un sorriso, quasi di scherno, scuotendo subito dopo la testa.

«Ma dovrebbe arrivare solo alla fine della vita...» Spostò lo sguardo sulla tomba accanto a loro. «Un po' come loro due» concluse, ritornando sulla ragazza.

Ilaria si diede qualche secondo per appoggiare lo sguardo nello stesso punto in cui lo aveva fatto lui, come se volesse assimilare i suoi pensieri renderli propri per capire fino in fondo ciò a cui si riferiva.

Ma non ci riusciva.

«Sì, hai ragione... dovrebbe essere proprio così.»

«Il mio vero nome non è Nessuno» replicò solamente lui, con una tranquillità nella voce tale da sembrare disumana.

La mora avvicinò le sopracciglia, mostrando un'espressione dubbiosa e curiosa al tempo stesso.

"Cosa sta succedendo?" si chiese.
"Chi è lui? Perché è qui, proprio con me?"

Deglutì e il respiro si fece irregolare, mentre il ragazzo teneva lo sguardo fisso nel suo.

Non capiva.

Perché dirle che Nessuno non era il suo vero nome?
Voleva che si interessasse a lui?
Voleva solo sorprenderla?

E mentre mille domande si affollavano nel suo cervello, il ragazzo di fronte a lei era imperscrutabile.

La stava studiando, stava cercando di capire come mai una parte di lui sentiva che lei poteva essere quella giusta.

Colei che l'avrebbe capito, colei che gli sarebbe stata accanto, colei che gli avrebbe regalato i suoi ultimi sorrisi.

«Mi chiamo Teodoro.»

Le parole risuonarono nell'aria come una melodia conclusa che sfumava nel vento, creando un ricordo bellissimo della canzone che era appena giunta al termine.

Il nome pronunciato da lui si fece spazio nel cervello della ragazza come una fortissima eco.

«Perché?» chiese lei.

«Cosa?»

«Perché dirmelo?»

Le sopracciglia di lei si aggottarono, tenendo le iridi fisse su di lui.

«Non lo so» ammise, forse più a se stesso che alla ragazza.

In tutta quella situazione non si capiva davvero nulla.
Entrambi avevano i propri dubbi ed erano due anime oscurate da vicende terribili.

Forse era proprio quello il motivo per cui si trovavano in quel luogo.

«Voglio andarmene da questa città e dalla mia vita.»

Anche le parole di lei risuonarono nell'aria mentre Teodoro la fissava con uno strano sguardo interessato.

E Orlando?

Il fantasma si era stranamente dileguato, o forse sarebbe meglio dire: era scappato.

Aveva capito, aveva compreso tutto fin dall'inizio e forse era stata un po' anche la sua volontà.

Voleva aiutare entrambi a scacciare i propri demoni e sapeva che in fondo si sarebbe arrivato a quello: insieme potevano farcela.

I due ragazzi erano ancora immobili mentre si scrutavano.
Non sapevano cosa dire, non sapevamo come interpretare le loro rivelazioni, anche se nel profondo della loro anima avevano già capito tutto.

«Vuoi parlarne?» chiese il ragazzo, con una nota di apprensione nella voce.

«E tu? Vuoi parlarne?»

Un lieve sorriso furbo sfiorò le labbra della ragazza, mentre la consapevolezza della loro somiglianza si faceva strada dentro di lei.

Anche a Teodoro comparve un sorriso sghembo sulle labbra e si rallegrò quando si rese conto che era il suo primo vero sorriso dopo tanto tempo.

«Solo con un bel gelato tra le mani» rispose.

Ilaria si morse il labbro inferiore e per un secondo dimenticò tutta la sua vita disastrosa, concentrandosi solo sul viso del suo interlocutore, curato quanto devastato.

Si lasciò la tomba dei suoi nonni alle spalle e seguì il ragazzo verso l'ingresso.

Orlando si trovava proprio là, a scrutare il mondo all'esterno e per un momento desiderò uscire e vedere tutto ciò che stava oltre quelle mura desolate, ma sapeva bene che non era possibile.

Quando vide i due ragazzi uscire insieme dal cimitero, un senso di disperazione si fece spazio nel suo corpo inesistente, prendendolo alla sprovvista.

Disperazione, desolazione, tristezza, da quando un fantasma provava qualcosa di così viscerale?

"Sarò forse impazzito?" si chiese l'entità, senza staccare gli occhi dai due.

"Sono forse finito davvero all'Inferno?" si domandò ancora, stringendo i pugni con tutta la forza che aveva.

Non riuscì a trovare risposta a nessuno dei due quesiti, ma una cosa era certa: lui non avrebbe mai potuto sapere cosa si provava ad accarezzare la pelle di quella giovane ragazza.

E ciò lo turbava profondamente.

"Me ne sarò innamorato? Io, che ho ucciso mia madre senza farmi un solo scrupolo?"

*

Nel frattempo, Ilaria e Teodoro avevano trovato un luogo di pace, un piccolo parchetto poco distante dal cimitero per poter parlare.

Ognuno di loro era sempre più curioso di conoscere l'altro, di provare a capire ciò che li affliggeva fino a farli demordere e avere una visione cosi orrenda della vita.

«Ho smesso di parlare di come mi sento da molto tempo ormai» iniziò la ragazza, «Per questo vengo qui,» indicò il cimitero con la mano, «nessuno può davvero sentirmi e giudicarmi.»

Le costava molto ammetterlo, ma in fondo lui era uno sconosciuto, si dice sia più facile parlare con gli estranei, no?

«A me manca mia madre» replicò solamente l'altro, abbassando il viso per nascondere la sua debolezza.

Ilaria però non gli staccò gli occhi di dosso, accennando un sorriso.

«Parlami di lei.»

Sul volto di Teodoro si dipinse un'espressione confusa: perché avrebbe dovuto parlarne con lei, un'estranea?

«Non saprei cosa dire» replicò infine.

«Tutto quello che vuoi.»

Il ragazzo la scrutò per qualche secondo: si fermò sul suo sorriso, sulle labbra carnose che scoprivano i denti, poi osservò il naso leggermente grosso, gli occhi scuri con delle venature verdastre e infine le guardò il volto, assemblando ogni sua caratteristica. Sorrise, sentendosi quasi ridicolo, ma con una sensazione nel cuore che non provava da tempo: libertà.

«Forse dovrei partire dal principio...»

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