Terza Parte

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Tremava.
Tremava e neanche se ne rendeva conto.
Era passato un mese dall'ultima volta che aveva messo piede in quel maledetto cimitero e in quel momento, tornata lì per disperazione, le sembrava di star commettendo un errore.
Continuava a sbagliare, pensava.
Continuava a prender decisioni stupide, che l'avevano portata sull'orlo della distruzione.

Quando Orlando la vide di fronte a quella tomba, sbarrò gli occhi e le sue labbra si dischiusero velocemente.
Doveva ammettere che non se lo aspettava.
Dire che si stava dimenticando di lei era esagerato, ma non ci pensava da un po'.
Ma, rivedendola, dovette ammettere a se stesso che un pochino si era sentito solo; lo era stato per talmente tanti anni che ormai non se ne faceva più un problema, ma con lei era diverso e per quanto cercasse di non pensarci, sotto sotto sentiva che senza di lei era realmente solo.

«Nonno...»

Un singhiozzo si propagò nell'aria fresca della sera e Orlando non riuscì a togliere lo sguardo dalla sua figura.
Indossava una canottiera particolare, di un rosso corallo vivo, coordinato con un paio di pantaloni neri che le fasciavano le gambe, esaltandone le sue curve; delle scarpe sportive si muovevano frenetiche insieme a tutto il resto del suo corpo e dalla scollatura si poteva intravedere il suo seno prosperoso.
Era pur sempre un uomo, Orlando, e, chissà come mai, il suo desiderio verso le donne - soprattutto con lei - non si era attenuato.
Improvvisamente la vide crollare sui ciottoli, lasciarsi andare completamente in un pianto isterico e, istintivamente, si mosse, andandole incontro.
Cosa pensava di ottenere non lo sapeva nemmeno lui, ma quella palpabile sofferenza non riusciva a lasciarlo indifferente.
Se in vita aveva recato solo morte, perché da morto non poteva recare vita?

Si accostò a lei, scossa da singhiozzi incontrollabili, e rimase immobile, senza avere il potere di fare nulla.
Se fosse stato ancora vivo avrebbe potuto accarezzarle il viso, passare le dita sulle sue guance paffute, asciugarle le lacrime, sfiorare le sue braccia per poi stringerla a sé e accarezzarle la schiena con delicatezza.
Invece poteva solo vederla versare tutte quelle fastidiose lacrime che anche se fossero derivate da problemi superficiali, non le meritava.

«Ho fatto un casino...»

Tremava come la sabbia al solo passaggio di una brezza leggera e questo faceva infuriare ancora di più Orlando, che non vedeva più nulla, se non al di fuori di lei.

"Se solo potesse sentirmi, anche solo la mia voce..." pensava, stringendo quello che poteva essere il suo pugno.

Non so che concezione abbiate dei fantasmi, ma vi posso assicurare che hanno esattamente l'aspetto di loro stessi, nel momento esatto in cui muoiono. Stessa età, stessi vestiti, stesse condizioni igieniche, stesso viso, stesso corpo.
Come riescano a vedere o sentire, resta ancora un mistero, ma credo sia merito dell'anima.
Sì, proprio quella che tutti si chiedano se esista oppure no.
Esiste, esiste.
Cosa credete che vi renda unici?
Cosa credete che vi permetta di pensare o amare?
Solo reazioni chimiche e impulsi elettromagnetici?
Allora perché non amiamo e pensiamo allo stesso modo?
Perché i pensieri sono solo nostri?
Ve lo dico io: l'anima esiste.

Ma allora, perché Orlando?, vi chiederete.

Orlando aveva un conto in sospeso.

Oppure era solo troppo ripugnante perfino per il Diavolo.

«Nonni, non so come fare.»

La vocina spezzata di Ilaria si manifestò dopo interminabili minuti di atroce silenzio.

«Sono una lurida troia!» sputò, esplodendo nuovamente in un pianto isterico.

Orlando strinse il pugno più forte e digrignò i denti.
Non poteva sentire dolore, non poteva neanche compiere quelle azioni, ma nella sua mente le stava facendo e anche con tutta la rabbia che possiedeva.

Come mai provava tutto quello strazio se i fantasmi non sentono nulla?

Un fruscìo destò Orlando dal guardare la sofferenza della ragazza e, poco più in là, scorse una figura maschile, nascosta dietro un muretto, intenta ad osservare la povera Ilaria.

«Come si permette di dire certe parole in un luogo sacro?» si chiese l'uomo, senza staccare gli occhi dalla sua figura.

Orlando gli fu subito accanto, squadrandolo dalla testa ai piedi.
Lo aveva già visto: spesso entrava nel cimitero per cambiare i fiori alla figlia, morta pochi anni prima.
Era uno di quelli che credeva il cimitero la casa di tutti i defunti, uno di quelli devoti unicamente alla religione, che detestava ogni forma di non rispetto.

«Faccio schifo, mi faccio solo schifo!»

Un nuovo urlo della ragazza squarciò il cielo e Orlando assottigliò gli occhi quando l'uomo scattò verso la ragazza ricurva a terra, che si teneva la testa tra le mani.

"Cosa vuole fare?" si chiese, seguendolo con circospezione.

«Hey, tu!» urlò l'uomo, puntando il braccio verso la ragazza.

Ad Orlando - se fosse stato possibile - si congelò il sangue nelle vene, avvertendo una strana somiglianza con il se stesso da vivo: quel tizio era pericoloso e stava andando verso la sua Ilaria.

"Fermo!" Avrebbe voluto pronunciare. "Non ti avvicinare a lei, lasciala stare!" lo avrebbe intimidito, ma non poteva, non ne aveva le facoltà.

Se fosse stato tutto un film, gli sarebbe bastato concentrarsi davvero e mostrarsi a tutti.

Ma Dio solo poteva sapere quante volte ci aveva provato.

«Cosa stai facendo?» continuò l'uomo, con tono sempre più aggressivo.

Ilaria si riscosse quasi immediatamente e ancora con le lacrime che le bagnavano le gote, si alzò di scatto, voltandosi verso la voce.

«Mi scusi, non volevo darle fastidio...» rispose intimidita, deglutendo con forza, mentre la figura imponente del signore continuava ad avvicinarsi.

«Siamo in un luogo sacro, ragazzina!»

Appena le fu abbastanza vicino, le afferrò un braccio con tutta la forza che possedeva e la strattonò, cercando di rimetterla in riga.
Lei, colta alla sprovvista, riprese a piangere, anche se silenziosamente e non provò a difendersi in nessun modo, convinta, in parte, di meritarselo.

Orlando, dal canto suo, non riusciva a credere che qualcuno potesse fare del male ad una ragazza senza avere il minimo senso di colpa, ma nel momento in cui si rese conto che lui stesso aveva fatto di peggio, un tuono squarciò il cielo.

Allora comprese.

Alzò gli occhi verso il cielo e osservò la luce del lampo protrarsi per qualche secondo.

"Ho capito i miei errori," pensò, "ma non lasciare che le faccia del male."

Fantasmi del PassatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora