Diciassettesima Parte

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Il silenzio che aleggiava in quel luogo era diventato opprimente.
Quella calma che tanto aveva bramato per mesi, in quel momento, le sembrava volesse schiacciarla sotto il suo peso devastante.

La figura di Teodoro se ne stava in piedi, proprio al di fuori del cancello, guardandosi attorno con noncuranza.

"Non è qui per me, non è qui per me" continuava a ripetersi lei nella mente; eppure una piccola parte di sé percepiva quella stretta allo stomaco tipica dell'adrenalina, della curiosità: la speranza che lui l'avesse aspettata.

Si avviò a passo lento verso di lui, deglutendo di tanto in tanto, mentre il respiro le si era incastrato in gola e il cuore galoppava senza sosta, affaticandola.

Non aveva tempo di chiedersi la motivazione di tanta agitazione, poiché lui si girò d'improvviso e la bloccò sul posto con il suo sguardo intenso.

Sì, era lì per lei.

«Ciao.»

Il timbro delicato che gli uscì dalle labbra fu un nuovo colpo al cuore per la ragazza.

«Ciao» rispose, avanzando ancora. «Che ci fai qui?» continuò poi.

«Potrei farti la stessa domanda, ma saprei già la risposta.»

Ilaria sorrise.

Una piccola curvatura delle sue labbra carnose che subito mandarono in delirio il povero Teo.

Cosa gli stava succedendo? Ancora non lo capiva, non comprendeva come un semplice sorriso di una sconosciuta potesse farlo sentire così bene.

«Mi stavi aspettando?» chiese lei, quasi senza rendersene conto. Di fatti le sue guance si tinsero di una tonalità più accesa, palesando il suo imbarazzo.

Neanche Teodoro si aspettava una domanda del genere e rimase interdetto.

La stava aspettando?

Si ricordava solo di essersi avviato lentamente verso l'uscita, di aver rallentato sull'uscio e di essersi perso a pensare a quel luogo, a ciò che gli aveva regalato.

«No, pensavo» rispose quindi, fin troppo sincero.

La micro espressione di delusione sul volto della giovane durò mezzo secondo, poi la nascose con un cenno comprensivo di assenso.

«Sì, capisco la sensazione.»

Lo sguardo di Ilaria andò a posarsi sulla ghiaia che ricopriva il suolo e si accorse che il ragazzo si stava avvicinando a lei; rialzò quindi gli occhi e li posò su di lui, deglutendo ancora.
Quella vicinanza la destabilizzava, perché?

«S-sei libera?»

Inizialmente lei non capì: cosa le stava chiedendo?

Se era libera quel giorno?
Se aveva il ragazzo?

«C-come?»

Il viso le stava andando in fiamme e l'insicurezza era palpabile.

Non era mai stata brava a rapportarsi con l'altro sesso e quelle situazioni la mettevano in imbarazzo.

Lui si schiarì la voce e, consapevole invece di saperci fare, ripeté la domanda: «Vuoi uscire con me?»

Il cuore le si fermò per un attimo, ma solo per riprendere ancora più velocemente di prima.

Certo che voleva uscire con lui; allora perché stava muta? Perché non riusciva a dirgli di sì?

Teo cominciò a sentirsi un completo idiota: credeva ancora di saperci fare con le ragazze, ma era evidente che la sua malattia aveva ribaltato ogni cosa.

Prima che lei potesse emettere fiato lui scosse la testa e una risata forzata gli uscì dalle labbra.

«Scusami, volevo solo accompagnarti a casa» si affrettò a rimediare, percependo un calore irradiargli il corpo.

Il sospiro rassegnato che si lasciò scappare Ilaria fu compreso male da lui.

«Certo» rispose, meccanicamente.

Orlando era esterrefatto.

Come potevano essere così imbecilli?, si chiedeva.

Li vide varcare il cimitero a una distanza troppo eccessiva e non poté fare a meno di sospirare, scoraggiato da tutta la faccenda.

Credeva davvero che il suo compito fosse quello di legare le loro vite, il problema era come riuscire a farlo.

Analizzando la situazione poteva solo ripensare al giorno in cui loro avvertirono la sua presenza, anche se sotto forma di una leggera brezza.

Che fosse proprio quella la soluzione?

***

Il tragitto fu silenzioso.

Teodoro non sapeva cosa dire; in realtà avrebbe voluto farle tante domande: sapere cosa le piaceva fare nel tempo libero, conoscere le sue paure, i suoi interessi, le sue passioni.
Tutto ciò che poteva riguardarla gli interessava e la cosa lo spaventava tantissimo.

Non poteva affezionarsi a una persona nuova, non in quelle condizioni.

Il suo umore precipitò vertiginosamente e lei sembrò accorgersene, poiché aggrottò le sopracciglia e si fermò sul ciglio della strada.

«Sei stanco? Ti senti poco bene? Torniamo indietro?»

La preoccupazione arrivò fin sottopelle al povero Teo che si sentì fragile e inutile.
Era malato, certo, ma non doveva essere trattato come se avesse delle disabilità motorie. Era uguale a tutti gli altri.

Chiuse i pugni con forza e non smise di camminare, facendole intendere che non aveva bisogno di nulla.

Lei riprese quindi a seguirlo, un po' confusa da quello strano mutismo; ma in fondo cosa si aspettava? Si era resa conto di essere stata troppo avventata con un estraneo.

«Scusami» disse quindi, rompendo nuovamente il silenzio. «Non volevo essere così apprensiva.»

Il cuore prese a batterle sempre più forte, mentre il silenzio si protraeva e lui non dava nessun cenno di voler replicare.

"Che stupida, sarò sembrata una patetica inopportuna a preoccuparmi..." pensò lei.

"Cazzo, si è solo preoccupata in fondo, dovrebbe essere una cosa carina..." pensò lui.

Ma nulla fuoriuscì dalle loro labbra.

Il percorso procedeva a rilento, come se il tempo avesse deciso di prendersela con loro, di far pesare quell'agonia che li circondava; ogni secondo pareva un minuto di quiete forzata, desiderando di essere spezzata da entrambi, ma senza averne il coraggio.

La brezza li accarezzò come una madre premurosa e Ilaria si perse per qualche minuto nei proprio pensieri, immaginando come potesse essere la vita tormentata di lui, piena di medicine e visite ospedaliere.

Immaginò di essere lì, insieme a lui durante una delle tante sedute, magari mentre gli sorrideva per infondergli coraggio e lui stava bene, le sorrideva di rimando e le regalava un'emozione unica.

Improvvisamente, però, ogni bel sogno ad occhi aperti venne spazzato via quando si sentì afferrare la mano e venne bruscamente strattonata, finendo contro qualcosa.

O meglio, qualcuno.

Il clacson che prese a suonare ripetutamente le perforò i timpani solo quando si rese conto di essere tra le braccia del ragazzo, mentre questo stava imprecando con tutta la forza che aveva verso quel guidatore spericolato.

Il respiro le si incastrò in gola, ma non era dovuto a quello strano incidente appena avvenuto, bensì alla sensazione di protezione che provava a stare lì con lui.

Fu allora che si rese conto che non sarebbe rimasto un semplice estraneo.

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