10 ~ Cose così

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Un altro giorno di lavoro era finito, un altro giorno scivolato via.
Mi sentivo poetico, in quel periodo.

Luglio era terminato, Stefano era passato al bar sporadicamente, avevamo ancora chiacchierato, di tanto in tanto, ma lui era sempre stato freddo, distaccato e io mi ero già avviato alla conclusione dell'illusione – con grande disappunto di Romina.

Poetico perché riflettevo su cose diversamente banali come l'amore, l'amicizia, il tempo che passa e non torna, e il clima.

Agosto era arrivato, le giornate avevano già iniziato a farsi meno calde. Colpa del cambiamento climatico, probabilmente, se a giugno si crepava di caldo, a luglio si esalava l'ultimo respiro per l'afa, e ad agosto iniziava già a sentirsi nell'aria odore di autunno.

Non che fosse piacevole camminare alle sette di sera, in una strada un po' in salita, dopo una lunga giornata di lavoro, con i muscoli delle spalle e delle gambe che imploravano riposo – uno svenimento, qualsiasi cosa pur di non camminare ancora. Ma almeno il caldo, l'umidità, l'afa di luglio erano ormai un lontano ricordo – o forse ero solo ottimista, quel giorno.

Poetico. Strano, ma poteva capitare pure a me di avere le traveggole a causa del caldo.

Attraversai dopo aver chiuso al cellulare con mia madre, lasciandomi alle spalle il bar, mentre la strada si faceva sempre più in salita. Era un'ascesa costante, blanda, che avevo iniziato a notare soltanto perché mi fotteva le gambe e la schiena, e mi ero trovato spesso senza fiato prima di scoprire l'inganno della strada che percorrevo ogni giorno da più di nove mesi, ormai. Ero pronto per partorire, in pratica. Magari qualche insulto alla mia salute da vecchio dentro un corpo da trentenne, oppure insulti a caso nei confronti dell'estate – e tanti cari saluti all'aria d'autunno.

-Claudio!- mi sentii chiamare e mi girai in cerca del proprietario della voce.

In lontananza vidi Fabian: mi salutò e tirò dritto per la sua strada. Impossibile fosse stato lui a chiamarmi, ero certo che non conoscesse il mio nome e anche se lo avesse conosciuto sicuro non avrebbe saputo pronunciarlo tanto bene. Mi volsi a destra e in lontananza vidi la Stazione di servizio dell'Agip, e riconobbi le due sagome di uomini in divisa, che si muovevano tra le pompe, soltanto perché li conoscevo. Dopotutto, io e la mia collega eravamo la loro spina nel fianco, il loro incubo peggiore: dall'alba al tramonto non facevamo altro che importunarli per farci scambiare soldi. Ma erano entrambi troppo lontani da me, sicuro non mi avevano notato, sicuro non li avrei sentiti urlare il mio nome.

-Ehi, ciao!-

Sussultai e mi voltai di scatto.
Alle mie spalle trovai la fonte della voce: Stefano.

Stefano fuori dal bar, fuori dal cantiere in cui lavorava e dove facevo domicili. Fuori da spazi conosciuti, decontestualizzato. Sembrava un'altra persona – anche se restava decisamente affascinante. Forse per via della T-shirt degli AC/DC che sfoggiava, invece della solita canottiera trash, oppure perché aveva lasciato i capelli sciolti sulle spalle, anziché raccolti in una coda o in un basso chignon sulla nuca.
Sembrava diverso.
Uno sconosciuto affascinante.

E tanti cari saluti al finale di stagione della mia illusione.
Stava già partendo il sequel, dannazione.

-Non ti avevo visto, scusa- dissi. -Ciao-

-Ciao- sorrise. -Ho finito per oggi, sono passato in albergo, il tempo di rinfrescarmi un po' e ho deciso di farmi un giro. Ti ho visto salire da lì- e indicò la strada alle proprie spalle con un pollice. -E mi sono fatto una piccola corsa per raggiungerti. Pensavo non mi avessi sentito-

Addirittura.

Questo si mette a fare jogging per raggiungermi. Cazzo. Potrei tirarci fuori una saga da sei romanzi, per una stronzata del genere.

CI SONO ANCH'IO Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon