23 ~ Certezze

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Un altro giorno di lavoro si era concluso.

Stefano nel secondo pomeriggio, dopo un caffè, era andato via e a fine turno lo avevo trovato ad attendermi fuori dal bar, pronto per accompagnarmi a casa, a piedi. Avevo scosso la testa, ma poi avevo preso a fare strada, con lui alle calcagna, senza protestare. Dopotutto, quel pomeriggio avevamo lasciato un discorso in sospeso. In sospeso perché poi era tornato Fausto e le nostre bocche si erano cucite all'istante e in simultanea.

Non ero certo che avremmo continuato il nostro discorso, però un po' curioso lo ero. Curioso di sapere cosa pensava lui riguardo a ciò che era venuto fuori. E avevo ancora bisogno di sfogarmi - anche se non ero certo che fosse giusto farlo con lui, abusare ancora di lui e della sua compagnia.
Stressarlo con i miei casini.

Dopotutto, mi ero persino convinto, nelle ore che mi ero appena lasciato alle spalle, nelle ore senza Stefano, ma con Fausto, con qualche cliente e con troppi pensieri, che, proprio per quel motivo, proprio perché ultimamente avevo stressato troppo Cristina e Loredana con i miei casini, loro si erano stancate di me. Non sapevano ancora come dirmelo, come tagliarmi fuori dalle loro vite e quindi avevano iniziato a ignorarmi. A tagliarmi fuori poco per volta, mentre io ancora speravo di stare soltanto costruendo l'ennesimo castello fluttuante sul fottuto nulla della mia immaginazione.
Ci speravo: ero certo di non avere speranze.

Difficile ammetterlo con convinzione e rassegnazione.

Le giornate avevano iniziato a farsi più brevi, il sole tramontava prima. Durante le ore del giorno si continuava a scoppiare a causa del caldo, la sera le temperature si facevano più frizzanti, più piacevoli.

Era piacevole camminare al fianco di Stefano, in silenzio, nonostante il peso di tutti i pensieri che mi portavo ancora addosso come un macigno.

Il caos del traffico era esploso intorno alle diciannove e trenta e ci stava accompagnando lungo la strada di ritorno verso casa mia. Clacson, voci, profumi, urla e risate. Aveva un'aria diversa Palermo, di sera, in autunno. Erano spuntate come funghi, sui marciapiedi e nelle piazze, diverse bancarelle di ambulanti che vendevano dolci tipici del periodo e caldarroste. A quasi ogni angolo si poteva scorgere il fumo uscire dalle tipiche braci verticali, e l'odore di castagne faceva a pugni con la puzza di smog e marciume.

-Hai litigato con le tue amiche?- chiese Stefano all'improvviso e io sussultai, distogliendo gli occhi da una Pupa di zucchero a forma di Harry Potter. Non credevo andassero ancora di moda. Mio padre ne aveva comprata una uguale per me e i miei fratelli, tanti anni prima, all'epoca in cui eravamo ancora dei bambini, e, per tradizione, ogni Due di novembre ci faceva trovare il Cesto dei Morti. Non avevamo mai mangiato nessuna delle Pupe di zucchero che ci aveva regalato. Troppo zucchero. Zucchero e colorante alimentare. Ancora oggi, non credo esista cosa più nausabonda di una Pupa di zucchero.

-No. Io non litigo- risposi con la mente piena di ricordi e sensazioni lontane, distogliendo gli occhi dalla bancarella, così sovrappensiero che per poco non mi sfuggì la sigaretta di mano.

-In che senso?-

-Taccio, di solito. Quando mi arrabbio davvero urlo e piango, non riesco ad esprimermi. Quindi preferisco non arrabbiarmi davvero, di solito trasformo la rabbia in delusione. Piango solo, ma da solo. Certi sentimenti li tengo solo per me-

-Certi sentimenti sono solo per noi. Sono troppo intimi e privati-

Spensi la sigaretta in un cestino e incassai la testa tra le spalle, fissando morbosamente il manto stradale.

Avevamo già superato il punto in cui eravamo soliti salutarci. E Stefano camminava ancora accanto a me.

-Non abbiamo litigato- dissi dopo un po'. -Sono... un accumulo di cose che mi danno fastidio o comunque mi feriscono, ma che mi faccio andare bene perché so di essere paranoico, so di essere esagerato, e comunque... voglio loro bene. Preferisco tacere che perderle-

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