34 ~ Claudio

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E mi svegliai.

Anche quel giorno aprii gli occhi, mi guardai intorno con una certa insofferenza. Le pareti bianche e verde dentifricio che mi circondavano non avevano alcun effetto "rilassante" su di me, anzi. C'era ancora troppa luce per i miei occhi, troppi colori, troppi stimoli, troppo caos di suoni e sensazioni.
Richiusi gli occhi.

Avevo ancora sonno. Era assurdo – visto che avevo "dormito" anche fin troppo –, ma avevo sonno.

La porta della stanza venne aperta e una donna entrò spingendo un carrello. Il suono delle ruote contro il pavimento mi fece venire l'orticaria, la pelle mi si coprì di brividi fastidiosi. La vidi schiudere le labbra in un sorriso.
-Buongiorno, Stefano- recuperò una penna dal taschino all'altezza del cuore della maglia blu che indossava, e dal carrello afferrò una cartellina plastificata. -Oggi è il grande giorno, eh?-

-È solo un giorno come un altro- borbottai e mi girai a guardare verso la parete che ospitava la finestra.

Si apriva su un cielo grigio e desolato, freddo, asettico. Riuscivo a intravedere solo il profilo, di un grigio appena più scuro, del palazzo che sorgeva di fronte.

-È un giorno. Un altro, no?-

Il suo tono di voce mi spinse a girarmi verso di lei. Non mi stupii di vederla sorridere ancora. Era una donna di aspetto piacevole, con il volto dai lineamenti delicati, i fianchi un po' larghi. Era gentile. Era sempre stata gentile con me, anche se la conoscevo da poco più di un mese e io ero solo uno dei suoi tanti pazienti di cui, alla fine, forse, dopo qualche tempo, non avrebbe ricordato più viso e nome.

Eppure, in quel momento era lì per me, era gentile con me. Era parte del suo lavoro essere gentile, ma il suo sorriso non pensavo fosse una cosa che le era d'obbligo.

Misi da parte i pensieri spiacevoli e mi limitai ad accettare silenziosamente la sua gentilezza.

-Già. È un altro giorno-

Spuntò qualcosa sulla sua cartelletta e cominciò a frugare sulla superficie del carrello, tirando fuori le medicine che mi erano destinate.

Sbuffai, ma accettai le pasticche e il bicchiere d'acqua che mi porse. Il suo sorriso si fece tirato mentre mi osservava attenta. Seguì i movimenti delle mie mani, delle mie labbra, mi guardò deglutire e poi parve riscuotersi dal quel sottile stato emotivo che aveva oscillato tra tensione e ansia, e tornò a sorridere sincera.

Avevo deciso che mi sarei curato.

Mi ero svegliato, dopotutto.

E questo doveva pur significare qualcosa.

-Il dottore sarà qui a momenti-

Aggrottai la fronte. -Quale dottore? La dottoressa Aiello è già passata stamattina-

-Oh, non la dottoressa. Lei tornerà a visitarti domani mattina. Parlo del dottore Raisi- fece un piccola pausa. -Lo psicologo. Oggi cominci gli incontri con lui-

Ah. Già.

Lo psicologo.

Mi limitaii ad annuire e a rivolgere lo sguardo oltre la finestra. La sentii chiudere la porta della stanza e sospirai.

Lo psicologo.

Non avevo idea da dove avrei dovuto cominciare, con lui.

Magari mi sarebbe pure stato sul cazzo – così, a pelle: ero un tipo che si lasciava guidare molto dalle sensazioni.

Mi sarebbe piaciuto addormentarmi di nuovo.

-Allora... dovresti svegliarti e venire a cercarmi-

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