21 ~ Mal di testa

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Avevo mal di testa.

Lavorare con il mal di testa non era proprio il massimo. Mi sentivo come se dentro il cranio avessi un tamburo che risuonava forte, vibrava pronto a esplodere, ma impossibilitato dalla mia testa che continuava a contenere e a neutralizzare i suoi tentativi di esplosione. Mi facevano male i denti, le ossa del naso. Le parole mi arrivavano amplificate nei suoni, come se la gente intorno a me avesse deciso di urlare per esprimersi. Di urlarmi addosso.

Odiavo le urla. Ogni volta che sentivo qualcuno urlare mi irrigidivo e subito la pelle mi si ricopriva di brividi; entravo nel panico e il petto mi si colmava d'ansia.

Stefano entrò nel bar proprio in quel momento, nel massimo picco del caos: piattini volanti, domicili, gente al banco e in sala. Musica, urla. Prese un caffè e lo persi di vista, mentre uscivo fuori dal locale per l'ennesima consegna.

Pioveva ed ero felice che piovesse, un po' meno del vento che faceva traballare il vassoio pieno di roba che reggevo in una mano.

Tornai al locale e trovai il deserto. Fausto ne aveva già approfittato per abbandonarsi in poltrona e Romina stava tentando di rimettersi in pari con le stoviglie sporche.

-Il solito tsunami- borbottai.

-Già- disse la mia collega. -Un attimo prima l'inferno e il successivo il nulla-

Mi strinsi nelle spalle e premetti due dita sugli occhi. -Mi faccio una sigaretta-

-Non avevi mal di testa?-

Non le risposi e uscii dal bar per prendere posto intorno a uno dei tavolini esterni, riparato dall'ombrellone. Mancavano pochi minuti e anche quel giorno di lavoro sarebbe terminato. Avevo cambiato turno con Romina per via di alcuni suoi impegni ed ero un po' in pensiero per lei, perché sapevo che Giacomo, quella sera, trovando lei al posto mio, avrebbe potuto approfittare della situazione per sfoggiare alcune delle sue scenette con l'intenzione di sedurla. Non ero ancora certo che Romina fosse pronta a tagliare i ponti del tutto con Giacomo, certo ero che lui mi sembrava ancora del tutto intenzionato a insistere con lei.

Fausto mi raggiunse all'esterno. Entrarono altri clienti, ma lui mi poggiò una mano su un polso, trattenendomi. -Ci sta Romina- disse e dal suo sguardo compresi che si stava preparando per dirmi qualcosa.

Non sapevo ancora cosa, ma entrai subito in uno stato d'ansia.

Sedevamo intorno al tavolino più esterno allo spazio delimitato dalle transenne e dall'ombrellone, un punto che sapevo non essere visibile dal bar. E la cosa iniziò a puzzarmi sempre di più.

-Come mai hai cambiato turno con Romina?- mi domandò a bassa voce e percepii i muscoli del collo irrigidirsi.

-Mi ha detto che aveva impegni con sua madre-

Le labbra di Fausto si aprirono in un amaro sorriso. -Sicuro. Però io penso che lo abbia fatto soprattutto per stare un po' con Giacomo-

-Stanno insieme il sabato sera-

-La vedo più presa da lui, sempre di più. A te ha detto niente?-

Mi strinsi nelle spalle e tacqui. Fausto aveva un carattere di merda, vero, però era pure vero che, fuori dal suo ruolo, era anche un buon amico. Sia io che Romina ci confidavamo spesso con lui e lui, che era più grande di noi, non si tirava mai indietro quando pensava di poterci essere d'aiuto e di poterci dare dei consigli. Aveva i suoi difetti, come tutti, ma se continuavo a lavorare al bar nonostante tutto – i giorni no, le sfuriate, la stanchezza fisica, la mole di lavoro – era proprio perché Fausto era Fausto: almeno una volta al giorno mi suscitava il desiderio di prenderlo a testate, ma poi c'era. Era un amico, un confidente, una persona alla mano, generoso e di buon cuore. Si poteva dire che passavamo più tempo tra di noi che con le nostre rispettive famiglie. Eravamo, a volte, per questo più famiglia noi di molte altre.

CI SONO ANCH'IO Where stories live. Discover now