Capitolo 3

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Non ci misi poi molto, per capire chi mi aveva colto di sorpresa: giusto davanti a me, mollemente appoggiato alla colonna con una spalla, c'era lo stupendo angelo oscuro che avevo pedinato per tutto il giorno. Il quale mi guardava con l'espressione diffidente di un gatto, ma un lieve sorriso sulle labbra sottili.

Mi guardai intorno e cercai il tizio dall'aura giallo-arancio. Quel tipo gli stava sempre così incollato che non riuscivo a immaginare che Aura-argento andasse a spasso da solo.

Ma Aura-argento, a quanto pareva, era capace di leggermi nella testa. «Kurt è dentro» disse.

Oh? Kurt. Un nome tedesco.

«Gli ho ordinato di non uscire, e non lo farà.»

Oh? al quadrato. Questo ragazzo, dunque, poteva dare degli ordini all'armadio tutto muscoli e contare sul fatto che li avrebbe eseguiti alla lettera.

Dovevo sentirmi meglio, all'idea che Kurt non fosse nei paraggi e fossi in compagnia soltanto di Aura-argento, che per quanto avesse un aspetto misterioso non sembrava un ninja che passava le giornate ad allenarsi nell'uso dei nunchaku, ma non lo ero per niente. Il modo in cui mi stava fissando, con quegli occhi grigi che parevano capaci di scavalcare la barriera della pelle e leggermi direttamente nella testa, era inquietante al di là di ogni immaginazione.

«Non ti stavo seguendo» tentai di bluffare, consapevole che, quando provavo a mentire, non sapevo convincere nemmeno un bambino di cinque anni.

«Davvero?» replicò Aura-argento, incrociando le braccia sul petto e rivolgendomi una smorfia sarcastica.

«Davvero» ribattei con tutta la convinzione di cui ero capace. «Stavo andando a casa.»

Il ragazzo sciolse l'intreccio delle braccia e mi guardò, se possibile, con un'espressione ancora più maliziosa. «E dove abiti? Sentiamo.»

«Da qualche parte.»

Era la prima risposta che mi era venuta in mente, e ovviamente si meritava una risata o, in alternativa, una gragnuola di schiaffi, ma anche ripensandoci la trovai adeguata. Va bene che questo tipo dall'aspetto più che sexy non era minaccioso, ma in ogni caso non me la sentivo di spifferare la verità alla prima persona che incontravo. Chi lo sa che non rischiassi di trovarmi per davvero con uno stalker alle costole.

A parte il fatto che io per prima ero stata uno stalker, nei suoi confronti.

Il tipo, per fortuna, fece spallucce. Non sembrava granché interessato alla questione.

«Come ti chiami?» chiese.

Giuseppina. Genoveffa. Gertrude. «Livia» confessai. Oh, accidenti a me! Perché non ero capace di mentire? Prima o poi mi sarei cacciata in un brutto guaio, con tutta questa sincerità.

Anzi, a dire il vero avevo il sospetto di esserci appena finita, dentro un brutto guaio.

«Sei al primo anno?»

«Secondo.» Com'è che il mio inseguimento si era trasformato in un interrogatorio di cui ero io la vittima? Non era così che funzionava nei romanzi gialli. «Ingegneria civile» sputai fuori a denti stretti, sentendo il desiderio di scavarmi una fossa da sola.

Per quanto fossi finita sotto un esame serrato, comunque, mi sentivo quasi a mio agio. Questo tizio era straordinariamente bello, parlava in tono pacato e aveva sulle labbra un sorriso tra l'ironico e il gentile. La sua aura poi, era magnifica; con quell'argento perlaceo così cangiante aveva un che di... raffinato, se poteva esistere un termine adatto per descrivere un fenomeno inconcepibile come un'aura.

Rassicurata dal suo modo di fare, presi il coraggio a due mani. «E tu? Come ti chiami?» buttai là, senza resistere alla tentazione d'incrociare le braccia sul petto come lui, alzare il mento in un'espressione sfrontata e appoggiarmi con una spalla alla colonna di fronte alla sua.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now