Capitolo 39

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«Perché mi puoi vedere?» domandò la driade, con espressione corrucciata e senza aspettare una mia risposta.

Per una volta, avevo voglia di divertirmi. «Perché sono una strega potentissima e posso vedere le creature soprannaturali» dichiarai, il petto in fuori come faceva Kurt quando si vantava di qualcosa.

«E le streghe potentissime frignano come umane qualsiasi e prendono a testate il tronco degli alberi?» ribatté pronto lui.

Touché. «È un periodo difficile» mi giustificai, sfarfallando le mani in aria e costringendomi a serrarle dietro la schiena quando mi resi conto che ero diventata patetica. «Tu, piuttosto. Non dovresti stare... che so, fermo e radicato nella terra, anziché andare in giro a spaventare le streghe potentissime?»

La fata albero reagì con un sorrisetto incredulo che trovai adorabile. «Mi stavi facendo male; mi sono staccato dalla mia materia per avere un po' di pace.»

Staccato da...? Mi voltai, in preda a un sospetto improvviso, e scoprii che l'albero non era svanito: era ancora lì, davanti a me, immobile lungo l'argine. Fin troppo immobile, in effetti: le chiome folte non erano scompigliate dalla brezza leggera che soffiava sul fiume. Con quella fissità era inquietante, quasi fosse un albero di plastica che era stato posizionato dai goliardi tra i platani veri per spaventare la gente.

«Non rischia di morire, o qualcosa del genere, se tu non sei lì?» domandai. Non sapevo bene che termini usare, vista quella situazione stramba. Non avevo un vocabolario adeguato per descrivere un albero e quella che immaginavo dovesse essere la sua anima.

Il ragazzo si strinse nelle spalle con noncuranza. «Sono la sua essenza vitale; può resistere senza di me almeno per qualche giorno. Gli sembrerà solo che sia già arrivato l'autunno.»

Oh, giusto. Era così semplice; perché non ci avevo pensato prima?

Davanti a quella bizzarria, non potei trattenermi. Mi sfuggì uno sbuffo, poi una risatina, e infine mi ritrovai a ridere a crepapelle.

«Sei pazza?» domandò lo spirito, a dire il vero con più tatto di quanto mi sarei aspettata.

Buona domanda.

«No» replicai cercando di smettere di ridere e asciugandomi con due dita le lacrime, per una volta non di disperazione ma di divertimento. «È solo che negli ultimi tempi mi sono capitate un po' di cose strane. Mi sento ancora scombussolata.»

«Ti capisco» disse la fata.

Il tono era davvero partecipe. «Sul serio?» chiesi, interdetta.

«Sotto le mie fronde vengono a sfogarsi tante ragazze innamorate che sono appena state lasciate dai loro fidanzati.»

«Io non sono appena stata lasciata!» mi ribellai. Tecnicamente, era quasi vero. Non ero appena stata lasciata; erano passati ben ventuno giorni.

Lo sguardo di commiserazione che mi lanciò la fata mi fece capire che la mia obiezione, per lui, non aveva alcuna rilevanza.

«Quanto fai il saputello» protestai, stringendo le braccia sul petto. «Quanti anni hai?»

«Cinquanta.»

Sciolsi l'intreccio delle braccia e strabuzzai gli occhi. Da un po' di tempo non facevo altro che incontrare persone vecchissime; quasi quasi avrei voluto entrare in un asilo e concedermi una chiacchierata con qualche bambino, giusto per recuperare il senso delle proporzioni.

Cominciavo a essere stanca di tutte le follie che mi capitavano tra capo e collo. «Be', è ora che te ne torni... da dove sei venuto» stabilii, non sapendo bene come definire la pianta alle mie spalle. La sua materia? Il suo corpo? Il suo... boh?

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now