Capitolo 42

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Finsi indifferenza, come se il fatto di averlo trovato nel mio salotto dopo che mi aveva mollata fosse la cosa più naturale del mondo; mi rassettai i capelli, anche se erano un groviglio di nodi che non sarei riuscita a sbrogliare neanche pettinandoli per tutto il giorno, entrai in sala e mi accomodai su una delle sedie davanti al tavolo. Provai l'istinto di chiedere a Max come diavolo avesse fatto a entrare, ma immaginai che sotto ci fosse lo zampino di Kurt, e di un suo qualche superpotere come la telecinesi che finora non avevo avuto il modo di osservare; doveva aver aperto la porta di casa con la sola forza della mente ed essersi poi appostato nel corridoio.

Attesi che Max mi dicesse tutto quello che aveva da dire, anche se, pur lambiccandomi il cervello in cerca di una soluzione, davvero non avevo idea del perché il mio ex ragazzo, dopo avermi lasciata, fosse tornato a cercarmi.

Volevo parlare per prima e sputargli in faccia una qualche cattiveria che l'avrebbe fatto sentire in colpa per come mi aveva trattata, ma colsi un bagliore cupo nella sua aura e a sentirmi in colpa, in maniera del tutto paradossale, fui proprio io.

«Sei ubriaca» mi accusò Max, con un sopracciglio inarcato che non lasciava presagire nulla di buono.

«No» replicai alzando il mento in segno di sfida.

«Sì che lo sei.»

Provai l'istinto di reagire come avrebbe fatto chiunque riceva un'accusa del genere e sappia di essere nel torto, cioè mettermi in piedi in equilibrio su una gamba sola e toccarmi il naso con un dito, ma resistetti a quell'impulso infantile. «Tecnicamente, ero sbronza ieri sera; adesso sono sobria» replicai. «E poi, a te cosa importa? E soprattutto che cosa ci fai, sul divano di casa mia? Pensavo che non dovessimo vederci mai più.»

Quanta rabbia. Nemmeno io riuscivo a stare dietro ai miei sbalzi d'umore.

Max incassò la raffica di accuse con espressione impenetrabile. La sua aura, tuttavia, non mentiva mai: vedevo mulinelli di nervosismo nell'alone argenteo che lo circondava, e qualche ombra oscura che, anziché farmi provare un sentimento di rivalsa, mi strinse il cuore.

«Ti avevo detto di andartene perché non volevo che ti cacciassi nei guai» rispose, con un lieve tremito nella voce che non seppi identificare. Ansia, sperai, ma poteva anche essere collera.

«Non mi sono cacciata nei guai. Mi sono divertita, per una volta nella vita.» Bugia: se mi ero divertita così tanto, perché adesso avevo un mal di testa atroce, e avvertivo nel cuore una voragine di malinconia che non si era affatto rimarginata?

Non c'è alcun divertimento, nello stare male.

L'espressione di Max, compassionevole, mi fece capire che non credeva a una sola parola. Del resto non ci credevo nemmeno io.

«Non ti sei cacciata nei guai» ripeté Max in tono ironico. «C'erano due licantropi che stavano per scontrarsi davanti a tutti, alla festa. E tu potevi finire in mezzo alla loro battaglia.»

«Ma cosa...?» sbottai. Mi aveva mica... «Mi hai mica seguita?»

Max inarcò di nuovo un sopracciglio. Cominciavo a trovare la cosa alquanto irritante.

«Non è necessario seguirti per sapere quello che stai facendo» replicò il mio ex fidanzato, tirando fuori con nonchalance una sciarpina di seta color azzurro-cielo.

La mia sciarpina di seta, capii dopo un istante di ritardo; quella cui ero più affezionata, e che misteriosamente, da quando ero stata sbattuta fuori dalla città e ficcata a forza su un treno, non avevo più trovato nella borsa.

«Marta!» strillai appena capii cos'era accaduto. La ragazzina con cui mi ero esercitata a fare irruzione nei palazzi dei cattivi, a quanto sembrava, era diventata un'empatica di primo livello: aveva seguito con la mente il mio andirivieni per mezza Italia, la mia partecipazione a una festa quasi del tutto illegale e, soprattutto, il mio intervento per sventare una battaglia tra licantropi che avrebbe potuto radere al suolo l'intero palazzo.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now