Capitolo 8

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Max accolse il mio discorso con il suo tipico sorriso malinconico, che trovavo sempre più affascinante. Chissà quante fanciulle avevano già perso la testa per questo ragazzo dall'aspetto di un poeta tragico.

«Non sono sicuro che sarai in grado di comprendere davvero quello che sto per dirti.»

Alzai gli occhi al soffitto per l'esasperazione. Ok, adesso cominciavo davvero a preoccuparmi. Cosa poteva mai dirmi di tanto drammatico? Che quand'era piccolo prendeva in giro le bambine perché non giocavano a calcio come i maschi? Che staccava la coda alle lucertole per divertimento?

Di certo non ero una campionessa di arti marziali, ma, quando mi trovavo in pericolo, sapevo correre più veloce di un centometrista. Mi sentivo pronta a qualsiasi rivelazione e, in caso di difficoltà, anche a schizzare in piedi, infilare la porta di volata e precipitarmi fino al portone d'ingresso, sempre che ricordassi la strada per arrivarci.

«Io e Kurt siamo dei vampiri» disse Max.

E all'improvviso mi ci ritrovai davvero, a un passo dalla porta.

Cavoli. Ero balzata in piedi senza neanche accorgermene, tanto l'adrenalina aveva dato una scossa improvvisa ai miei muscoli. Tutto a un tratto udivo nelle orecchie il trillo di mille campanelli d'allarme, avevo il fiatone per l'angoscia e grosse gocce di sudore mi colavano lungo la schiena.

Afferrai la maniglia come se fosse un'ancora di salvezza, mi voltai e mi addossai con la schiena alla porta.

Max era ancora seduto sulla sedia vicina al caminetto.

Immobile.

Mi guardava con occhi seri e un sorriso triste impresso sulle labbra. Come se avesse già assistito a una reazione del genere un'infinità di volte.

Già, perché se era un vampiro voleva dire che doveva essere vecchissimo, tipo quasi eterno.

In ogni caso non sembrava che volesse assalirmi, attaccarsi alla mia giugulare e cavarmi via in una volta sola più sangue di un centro donazioni, per cui osai prendere una boccata d'aria. Il cuore mi batteva nel petto come un martello. Di sicuro lo sentiva anche lui, e in teoria doveva essere attratto da tutto quel sangue delizioso che mi scorreva nelle vene a un ritmo folle, ma non batté ciglio; restò seduto, con la compostezza di un aristocratico, fissandomi accigliato.

Adocchiai la sua aura; pareva tranquilla, quasi rassegnata. Una nube perlacea dall'aspetto pacato.

Rincuorata più di tutto da questo segnale, mi costrinsi a staccare la mano dalla porta, tornare indietro con passi rigidi e rannicchiarmi di nuovo sul divanetto.

«Ehm... d'accordo. Vampiri» dissi, sperando di riuscire a parlare in tono normale, ma avvertendo ahimè una nota stridula nella mia voce.

Lui sorrise con un po' più calore di prima. «Mi credi?»

«Tu credi al fatto che io vedo le aure. Siamo pari.»

La mia replica doveva essere alquanto divertente, anche se mi sentivo ancora così terrorizzata da non riuscire ad accennare neppure un flebile sorriso, perché Max si concesse una breve risata, pallida imitazione di quelle di Kurt. «Sei proprio una creatura bizzarra» commentò.

Aveva ragione. Eccome, se aveva ragione. Livia Campionessa di Razionalità si era trasformata in Livia Principessa dei Folli.

Che colpo, per la mia autostima.

Max spostò una mano e la appoggiò sul bordo dello scrittoio. Il movimento mi spaventò, tanto che sobbalzai e deglutii, di sicuro mettendo in evidenza la mia giugulare.

Il vampiro che avevo davanti se ne accorse, ma non fece altri movimenti.

Ripeto, per chi fosse duro di comprendonio, e anche per me che ancora faticavo a rendermene conto: il vampiro che avevo davanti. Non sembrava particolarmente vampiresco, in verità. Non avevo notato canini prominenti. Era pallido, sì, ma non in maniera cadaverica, a parte le occhiaie profonde che aveva sotto gli occhi e gli regalavano un aspetto emaciato che gli donava da morire (ok, pessimo uso delle parole).

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora