Capitolo 40

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Cominciai a raccontare. Di come avevo incontrato Max e quanto era stato scontroso, all'inizio. Di tutte le emozioni che avevo provato in sua compagnia, di come eravamo cresciuti insieme, anche se lui era già un vampiro vecchissimo in confronto a me, di come credevo che fossimo diventati una persona sola e di come lui si era sentito costretto a lasciarmi.

Cercai di glissare sulla questione dell'elisir dell'immortalità, anche se sentivo che a questo ragazzino avrei potuto dire tutto.

In fondo, potevo fidarmi della discrezione di un albero, giusto?

Credevo di sì.

Quando ebbi concluso il racconto, con la gola secca per il gran parlare e lo sforzo di farlo in un sussurro appena udibile, tirai un sospiro di sollievo. Dall'espressione seria con cui il ragazzino mi stava osservando, capii che stava per dirmi come la pensava, ma prima che riuscisse a parlare accadde qualcosa di inaspettato.

«E allora!» disse qualcuno alle mie spalle, calandomi una mano su una spalla e dandomi un colpo deciso. «Come andia...»

Kurt mi aveva addestrato bene, non sapevo nemmeno io quanto, perché a quell'attacco improvviso mi voltai di scatto, mi piegai su me stessa e affibbiai una gomitata nello stomaco dell'aggressore con tutte le mie energie.

Mi ritrovai con Giacomo De Dominicis steso a terra e agonizzante ai miei piedi.

Cavoli. Avevo atterrato proprio lo studente che detestavo di più al mondo. In effetti, era l'ideale per sfogare la rabbia repressa; quasi quasi avrei potuto adoperarlo come pungiball. Senza contare che il mio pessimo umore da ragazza-appena-mollata-dal-mezzo-vampiro-più-figo-della-Terra non contribuiva in alcun modo a stemperare la mia tensione.

In ogni caso, ammazzare uno studente nel bel mezzo del chiostro universitario non era il massimo, a maggior ragione visto che, per quanto mi urtasse i nervi con la sua antipatia naturale, Giacomo non mi aveva fatto nulla di male.

Per fortuna mi accorsi subito che non era morto, e neppure danneggiato in maniera permanente. Un tantino stranito sì, però, dal momento che mi guardò come se fosse appena stato atterrato da una Tartaruga Ninja.

«Mi dispiace! Ti sei fatto male?» mi affrettai a chiedere, prendendolo per un braccio e dandogli uno strattone per aiutarlo a rimettersi in piedi.

«Ma dove hai studiato kung fu? Direttamente in un tempio di monaci Shaolin?» replicò lui massaggiandosi il collo. «È stato fichissimo! Me lo insegni?» aggiunse subito dopo, cavandomi dall'impaccio di doverlo scortare in infermeria, per assicurarmi che non avesse un trauma cranico, o chiamare la polizia per autodenunciarmi di un quasi-assassinio.

«Ho avuto un buon maestro» mi limitai a rispondere, guardandogli le pupille di sottecchi per accertarmi che fosse tutto a posto. Lo era, a quanto sembrava.

«Questa mossa me la devi proprio insegnare» insistette lui, minacciandomi con un dito e rischiando di finire per la seconda volta a terra, visto che la mia irritazione era ancora a livelli da codice rosso.

«La prossima volta che mi dai un colpo alle spalle» scherzai a denti stretti. «Cosa volevi?»

«Come cosa volevo?» rispose Giacomo, recuperando da chissà dove il sorriso viscido che tanto detestavo. «Invitarti alla festa più figa della storia dell'università, ovvio!»

«Una festa?» mi ritrovai a dire, di sicuro con l'espressione di un'ebete.

«Una festa?!» s'intromise la driade, con un entusiasmo fanciullesco.

Per fortuna riuscii a trattenermi dal girarmi verso di lui e scoccargli il mio abituale zitto tu, che non avrebbe fatto altro che attirare la curiosità di Giacomo, visto che ai suoi occhi, come a quelli del resto del mondo, avrei parlato con il nulla.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now