Capitolo 34

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Mi trattenni a fatica dallo strillare un Urrah! di soddisfazione, che di sicuro avrebbe fatto accorrere sul posto una torma di guardiani incappucciati e magari anche qualche golem o un altro mostro simile, e mi precipitai verso la teca. «È quello che cercavamo» non potei fare a meno di bisbigliare a Marta, appena vidi la copertura di pelle di quello che sembrava un diario consumato dal tempo. Sulla copertina era inciso solo un nome: Albrecht von Büren. Il padre di Max, intuii.

Mi morsicai un labbro, impugnai il vetro della bacheca e lo sollevai con delicatezza. Appena ebbi liberato il diario dalla sua protezione, m'investì una zaffata non tanto di polvere quanto di... antichità, se mi si poteva passare il termine. Avvertii il peso di ciò che avevo di fronte: un volume che a quanto sembrava qualsiasi creatura, soprannaturale e non, avrebbe fatto di tutto per conquistare.

Inghiottii il groppo di tensione che avevo in gola, mi chinai di lato per appoggiare la bacheca a terra e mi rialzai piano, con il terrore che anche solo il battito forsennato del mio cuore avrebbe sbilanciato la colonnina del leggio e fatto cadere il libro a terra.

Allungai le braccia, toccai la copertina con reverenza e mi decisi a impugnare il diario.

Udii un movimento improvviso alle spalle e tremai fin dentro le viscere per lo spavento.

Mi voltai di scatto, stringendo il volume al petto per proteggerlo, e vidi il mio professore, affiancato ahimè da ben quattro degli energumeni incappucciati, fermo sulla soglia della porta e intento a fissarmi con uno sguardo gelido. «Livia Rinaldi» mi apostrofò, con la stessa espressione di un licantropo che si prepara a sbranare una preda.

L'avevo detto, io, che il mio travestimento non avrebbe funzionato.

Maledizione. Credevo che... «Credevo che avesse una cerimonia da seguire» dissi a voce alta, morsicandomi la lingua quando mi resi conto che, malgrado De Lauris avesse l'aria di un aguzzino senza scrupoli, continuavo a trattarlo come se fossimo in un'aula universitaria.

«Pausa buffet» replicò con nonchalance.

A quel punto, gli eventi si svolsero con fin troppa velocità per i miei gusti. Pensavo di essere diventata brava nell'uso dei miei poteri, ma non lo fui abbastanza.

Bastò che il professore facesse un lievissimo cenno del capo, perché uno dei suoi sgherri incappucciati mi aggredisse. Tentai di sferrargli un colpo magico, ma lui schivò il mio attacco esibendosi in una giravolta da saltimbanco, con uno svolazzo del mantello nero che pareva il frullo d'ali di un corvo. Si piazzò dietro di me e mi puntò un coltello alla gola.

Non posso dire che la lama fosse gelida. Cioè, in realtà non mi sfiorava neanche, ma ebbi comunque l'impressione che la punta del coltello mi avesse punzecchiato la gola e ghiacciato la pelle, tanto che mi irrigidii al punto da smettere quasi di respirare.

Ero in preda al panico, ma anziché lasciar andare il diario, cosa che ognuno dei presenti si aspettava che facessi, lo strinsi ancora più forte tra le braccia, con il rischio di imprimermi le borchie sul petto e sfondarmi la gabbia toracica da sola.

Potevo anche essere terrorizzata, ma grazie ai miei poteri, combinati con l'addestramento militare ricevuto da Kurt, sapevo far male. Il mio professore doveva averlo capito, dal momento che aveva di sicuro visto la guardia mezza morta al piano terra con, nella mia immaginazione, il cranio sfondato. A conferma di ciò, De Lauris mi rivolse un sorriso piuttosto tagliente ma, anziché accanirsi su di me, concentrò l'attenzione su Marta.

«Cara, guardami» disse, con una buona dose di veleno di vipera nella voce.

No! avrei voluto strillare con tutta la forza dei miei polmoni, ma dalla gola, secca per la tensione, mi uscì solo un gracidio incomprensibile e, come temevo, del tutto inutile.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now