Capitolo 9

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«Aspetta!» reagii piantando i piedi. «Ce l'ho già una casa. Non esiste che stanotte dormo qui.» In una casa di vampiri, fui sul punto di aggiungere.

Max non diede alcun peso ai miei frenetici tentativi d'impedire che mi portasse fuori dalla stanza. Mi tirò via dalla maniglia della porta, cui mi ero avvinghiata per opporre resistenza, e mi attirò a sé con uno strattone, facendomi sbattere sul suo petto che, dovevo ammetterlo, era più muscoloso di quanto pensassi. «È troppo pericoloso. Devi dormire qui» stabilì con voce inflessibile.

«Perché?!» strillai, rendendomi conto con un attimo di ritardo che avevo fatto echeggiare la mia voce nel corridoio e, con ogni probabilità, nell'intero palazzo.

Dovevo fare più attenzione. Non potevo permettermi di litigare con un vampiro, per quanto a metà.

Max, per una volta, sembrava proprio fuori di sé, tuttavia non mi minacciò in alcun modo. Mi lasciò andare, si appoggiò alla parete come se temesse di non riuscire a reggersi in piedi e mormorò: «Quello che hai visto in università è un vampiro, Livia. Uno che, probabilmente, è sulle mie tracce. Devi renderti conto che il tuo potere è unico. Per noi non è facile identificare i nostri simili; ci riusciamo di rado, di solito solo quando si sono trasformati e hanno sfoderato i canini. Se qualcuno scoprisse che sei in grado di vedere le aure delle creature soprannaturali, potresti correre dei grossi pericoli.»

Quella manciata di frasi ebbe il potere di prosciugarmi la bocca di ogni traccia di saliva. «Pericoli?» chiesi, ahimè, con voce tremante.

Max si accorse della mia debolezza e mi catturò di nuovo una mano. «Non devi avere paura. Ti proteggerò io. E anche Kurt» disse.

Dopodiché, mi trascinò lungo il corridoio così in fretta che ebbi a malapena il tempo di lanciare qualche occhiata in giro, individuando una serie di quadri dall'aria antica, dei lampadari lucidati fino a scintillare e un paio di tappeti che avrei potuto rivendere per sistemarmi per il resto della vita.

«È della tua famiglia, questo palazzo?» domandai, affascinata da tutto quel lusso.

Max si voltò appena a guardarmi. «È mio» replicò. «L'ho acquistato qualche tempo fa, pensando che avrebbe potuto essermi utile come base, quando vivevo ancora a Siena. Non avevo idea che mi sarebbe servito per davvero.»

Quasi mi fermai per la sorpresa, ma Max riprese a camminare e mi strattonò via. «L'hai acquistato come base segreta?» rimarcai. «Sa tanto da 007.»

Alle mie parole, Max scoppiò in una risata così travolgente da farmi vibrare tutto il braccio. Poi, si fermò davanti a una porta leggermente più sobria del resto della casa. «Eccoci arrivati» esclamò come se fossi una bambina nel paese dei balocchi.

Bè, in effetti era così che mi sentii, quando lui spalancò la porta e mi ritrovai davanti quella che sarebbe stata la mia stanza per, sperai, non più di una notte.

Non ero un'esperta di mobili d'antiquariato, ma il tavolinetto in legno di ciliegio, la mensola ricoperta di libri e la tappezzeria nei toni dell'azzurro carta da zucchero erano deliziosi. Per non parlare della spinetta collocata vicino alla finestra, rigorosamente chiusa e con le tende abbassate.

Max mi lasciò andare e si appoggiò alla parete, gustandosi ogni sfumatura della mia espressione incantata.

«È... è...» meravigliosa, pensai. «Scomoda!» dichiarai, per una volta riuscendo a cambiare il mio pensiero all'ultimo istante. «Come faccio a studiare su quello?» mi lamentai indicando il tavolinetto, che era, sì, un pezzo pregiato, ma pareva così esile che sarebbe andato in frantumi se solo mi fossi azzardata a depositarci sopra il mio volume di Fondamenti di analisi matematica 2.

«Non ti sei portata dietro dei libri di studio» obiettò Max in tono pacato.

«Appunto!» sbottai, arrivando perfino a sbracciarmi per l'irritazione. «Non posso restare qui un istante di più. Devo correre a casa per ripassare, altrimenti non supererò gli esami, perderò la borsa di studio e sarò nei guai per il resto della mia vita!»

Tentai d'infilare la porta e andarmene, ma Max fu lesto a catturarmi tra le braccia. «Manderò qualcuno a casa tua a prendere i tuoi libri. Avrai tutto il tempo per studiare. E, se non ti troverai bene in questa stanza, potrai metterti nella mansarda dell'ultimo piano e aprire le tende, se io e Kurt non siamo nei paraggi.»

Dovevo ammettere che tra le sue braccia stavo incredibilmente bene. Il suo corpo non era gelido come quello di Kurt, ma pervaso da un lieve tepore e da una scossa d'energia che cominciavo a trovare gradevole.

Accanto a lui mi sentivo protetta.

Non ero mai stata il tipo di ragazza che passa le giornate a leggere romanzetti rosa; ero concreta e indipendente, tanto che avevo fatto di tutto per mantenermi senza dipendere dai miei genitori, ma dovevo ammettere che non mi dispiaceva, per una volta nella vita, avere accanto qualcuno che mi trattava come se fossi un calice di cristallo.

«Perché ti prendi così cura di me?» mi sfuggì mentre tastavo la morbidezza del suo maglione e, segretamente, la solidità dei muscoli del suo petto. Il pullover, soffice come un piumino da cipria, doveva essere di cashmere; i muscoli, di puro alabastro.

Non mi pareva di aver detto chissà che, ma Max si irrigidì. Mi scostò dal suo corpo e incrociò le braccia sul petto, come se desiderasse proteggersi da...

Da chi? Da me? Che non avrei fatto paura nemmeno a un pulcino?

«Non voglio che chi mi sta intorno debba correre dei rischi a causa mia» disse, in un tono così mesto che quasi mi spaventai.

Dopodiché si voltò e se ne andò. Così. Senza una spiegazione, un saluto, niente.

Svanendo come un fantasma.

O un vampiro che si smaterializza nella notte.

Mi resi conto di essere fin troppo scombussolata, perché a quel pensiero rischiai di scoppiare in una risata isterica. Non trovai niente di meglio da fare che buttarmi sul letto coperto da una leggera trapunta, fissare lo sguardo sul baldacchino sopra la mia testa e cercare di riordinare i pensieri.

Ero prigioniera di un manipolo di vampiri squilibrati.

Anzi no: forse non ero davvero prigioniera. E nessuno dei due aveva osato toccarmi con un dito, a parte prendermi per mano e farmi scorrazzare per mezza città e per i corridoi di un palazzo principesco.

Era una situazione da pazzi, ma anche... accettabile, in qualche modo.

Non ero del tutto folle, visto che sì, vedevo le aure, ma solo di creature soprannaturali. Trovavo quel pensiero confortante.

Mi tirai su sui gomiti e osservai la stanza. Se era una prigione, era la prigione più lussuosa che avessi mai visto. Non sarebbe stata la fine del mondo, trascorrere lì qualche giornata.

Mi allungai sul letto e recuperai la mia borsa, trascinandola per la tracolla.

Avevo mentito. In realtà, non ero del tutto sprovvista di libri; non sarei mai uscita di casa senza portarmi appresso il mio adorato manuale di Fondamenti di analisi matematica 2 e almeno un paio di altri volumi di studio.

Il modo migliore che conoscessi per liberarmi dall'ansia era studiare. Era così da sempre.

Per cui aprii il manuale nel punto in cui avevo lasciato il mio segnalibro preferito, con un quadro di Canaletto tutto luci soffuse e barche che affollavano la laguna di Venezia, e mi calai nello studio.



SPAZIO DELL'AUTRICE

Capitolo breve, stavolta, e un po' di "assestamento" dopo le rivelazioni di quello precedente. Livia dovrà abituarsi a convivere con dei vampiri? Lo scoprirete continuando a leggere la storia!

Se avete apprezzato questo capitolo, votatelo con una stellina e lasciate un commento.

A presto,

Chiara

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now