Capitolo 21

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Mi sarei aspettata di tutto, tranne quello che accadde: Kurt mi afferrò per un braccio e mi condusse in una zona del palazzo che, fino a quel momento, non avevo esplorato. Stavo ancora mugugnando tra me, cercando di liberarmi dalla sua presa ferrea, quando mi scaraventò dentro un locale ampio e illuminato da faretti a luce naturale che mi lasciò di stucco.

Una palestra.

Non avrei mai pensato che esistesse un luogo del genere in un edificio che all'esterno era fatiscente e all'interno di uno sfarzo incredibile, bloccato in un'età indefinibile tra il settecento e l'ottocento e così deserto che non faticavo a immaginarlo infestato da un esercito di fantasmi.

Lasciai vagare lo sguardo tra le pertiche, le corde appese al soffitto e la collezione di attrezzi da lancio e da taglio, che parevano capaci di fare molto ma molto male, consapevole di avere la bocca spalancata per la sorpresa.

«Che ne dici?» domandò Kurt, senza riuscire a trattenere un sorriso d'orgoglio.

Richiusi la bocca e lo guardai di traverso. «Dico che voi siete tutti matti. Non vi basta avere zanne e artigli? Dovete anche pugnalare chiunque vi capiti a tiro, per il solo fatto di avervi calpestato un piede per errore?»

L'entusiasmo di Kurt si smorzò. «Ti hanno mai detto che sei insopportabile?» bofonchiò.

«No, perché non frequento quasi nessuno» replicai, anche se non ne andavo particolarmente orgogliosa. «Ho sempre da studiare» aggiunsi, con un punta di disagio.

Kurt, per fortuna, non infierì su di me. Parve accantonare l'ostilità e dedicarsi all'esame di ogni parte del mio corpo, dai capelli aggrovigliati, che avevo cercato di raccogliere in una coda alta, alle sneakers ricoperte di polvere.

«Bè? Che hai da guardare?» protestai, arrossendo tanto che rischiai di andare a fuoco.

«Sei magra» mi accusò Kurt, senza a quanto sembrava rendersi conto che, di solito, una cosa del genere era un motivo di vanto.

«È tutta genetica» ribattei. «Con la montagna di pancake che mangio, dovrei pesare almeno duecento chili.»

«E del tutto priva di tono, a giudicare da quello che ho sentito quando ti ho preso per un braccio» aggiunse lui, guardandomi con un'espressione ancora più disgustata.

Alzai gli occhi al soffitto per l'esasperazione. «Sei sordo, per caso? Te l'ho detto mille volte: studio notte e giorno, non ho tempo per andare in palestra!»

Invece di arrabbiarsi per il mio tono isterico, Kurt si esibì nel suo sorriso fanciullesco, che gli illuminava il viso più di un raggio di sole. «Vedremo di correggere questo difetto» sentenziò.

Avvertendo una sfumatura sinistra nella sua voce, aggrottai la fronte e lo guardai con diffidenza. «Perché mi hai portata qui?» chiesi, in preda a un terribile sospetto.

Kurt continuò a studiarmi con espressione concentrata. «Credevo che fossi perspicace. Questa è una palestra, no?»

I palmi delle mani presero all'improvviso a sudarmi. Lanciai un'occhiata attorno, osservando le lame di ogni genere e grado che vedevo appese su un pannello di cuoio; conoscendo la mia goffaggine, mi sarei tagliata un braccio anche solo cercando di impugnarne una.

Kurt non mi lasciò il tempo di reagire. «Dieci giri della palestra di corsa. Veloce» stabilì in un tono che, tutto a un tratto, mi sembrava affilato come decine di coltelli puntati nella mia direzione; l'inflessione tedesca, che a quanto pareva gli scappava quando assumeva il ruolo di un addestratore dell'esercito, di certo non mi aiutò a rilassarmi. Lo squadrai da capo a piedi e per un istante lo vidi per quello che era: un vampiro che poteva sfoderare i canini e ridurmi a brandelli.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now