6- 𝙍𝙪𝙣 𝙗𝙤𝙮 𝙧𝙪𝙣 - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

2.1K 148 456
                                    

Quante probabilità potevano esserci, una volta ricoverata, di dover condividere la stanza con la sorella del mio più grande rivale? Non saprei impostare un calcolo definito, ma so per certo che il risultato sarebbe un numero vicinissimo allo zero.

Eppure, la dolce Ellison era parte di una realtà ostica, che avremmo condiviso nei mesi a venire.  

La domanda di Jordan mi fece sprofondare in un abisso di vergogna, intrappolandomi nel suo fondale senza darmi modo di riemergere. Quella domenica sarei dovuta essere in pista, truccata e pettinata, pronta a gareggiare con Kevin. E nemmeno nei miei incubi più oscuri, avrei pensato che quella stessa domenica sarei invece stata al Fairwinds, a centosettanta miglia di distanza, con i capelli spettinati e in tuta da ginnastica. Con un paio di ciabatte in gomma al posto dei pattini.

Tremavo, consapevole di essere fuggita da quella conversazione in malo modo. In una vita organizzata al minuto, non sapevo gestire quanto potesse capitare di inatteso. Fuggivo dagli eventi non programmati, e Jordan Davis fu un imprevisto di dimensioni epiche. Di quelli in grado di far vacillare anche una muraglia innalzata con la miglior armatura. 

Fino a quel giorno, però, non avevo mai avuto il coraggio di guardarlo dritto negli occhi. Talmente inavvicinabile lui, così vuota io.

Un corpo scolpito nella pietra, una capigliatura disordinata ad arte ed un volto dipinto da un angelo, rendevano Jordan il pattinatore più bello che fosse mai stato mandato sul pianeta Terra. Lo confermavano le orde di fan che lo aspettavano, alla fine della gara, con penna alla mano per farsi autografare di tutto: chi un semplice foglio, chi una t-shirt e chi voleva la sua firma impressa sullo stivaletto del pattino. Nero su bianco. E lui, con estrema umiltà, dedicava il suo tempo ad atleti che lo idolatravano, mangiandoselo con gli occhi in quei brevi incontri ravvicinati. Si inginocchiava sempre, per parlare con le piccole fan, mettendosi alla loro altezza, riservando  loro parole di incoraggiamento. Non negava mai una foto a nessuno, e lo sapevo bene io, che dagli spalti osservavo tutto in sordina.

Cosa avrebbe mai potuto pensare, nel vedermi lì, sconvolta, nell'ultimo posto in cui ci si aspettasse di vedermi. Non ero riuscita a scappare di soppiatto, ma ero riuscita a interrompere il suo sguardo incredulo e penetrante. Mi rintanai in camera, sedendomi sul bordo del mio letto, ad aspettare che l'orario di visita finisse. Sarei uscita una volta al sicuro da sguardi indiscreti.

«Posso entrare?» chiese una pacata Ellison sull'uscio della nostra camera. 

Annuii, e venne a sedersi accanto a me, abbracciandomi.

«Scusami, Amelia. Avrei dovuto dirtelo subito.»

«Io scappo come una bambina e tu ti scusi?» 

«Te lo ripeto, siamo tutte sulla stessa barca. Siamo tutte incatenate a paure, vergogne, ossessioni.» disse decisa.

«Cosa penserà ora tuo fratello? Lo dirà in giro?» chiesi, preoccupata.

«Ma no, Jordan sa essere discreto. E' abituato, da anni, a venirmi a trovare in clinica, e ne ha viste di ogni. Non farti problemi.» Sciolse l'abbraccio, accovacciandosi di fronte a me. «Non pensarci, ok? Domani inizierà il tuo vero percorso qui, stasera ci distraiamo. Julie voleva iniziare la maratona di Gossip Girl, ti unisci a noi?»

E, per una volta, decisi di abbassare le difese. Ringraziai Ellison: non faceva altro che confermare, con gesti e parole, la prima impressione che ebbi su di lei. Pura, limpida e cristallina, e con una parola di conforto sempre in tasca, pronta ad ogni evenienza.

Andammo in salotto, dove le altre ragazze ci raggiunsero, e trascorremmo la serata tutte insieme, in un'atmosfera tranquilla. In momenti come quello, sembravamo delle ragazze comuni: dieci amiche, un comodo divano, una serie tv e una tazza fumante di camomilla.

RESILIENTWhere stories live. Discover now