13- 𝙍𝙝𝙮𝙩𝙝𝙢 𝙤𝙛 𝙝𝙪𝙢𝙖𝙣 𝙚𝙣𝙚𝙧𝙜𝙮- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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Ero ancora incatenata alla presa di Jordan, ammaliata dal risalto che il lieve bagliore lunare dava ai lineamenti del suo viso. Il naso dritto incastonato tra due zigomi appena pronunciati, le labbra carnose che accennavano un piccolo sorriso sbieco e gli occhi, quegli occhi: nascosti dal suo solito ciuffo scompigliato, nel buio della notte li sentii trafiggermi l'anima. Galeotta, mi aveva appena chiamata. Imposi a me stessa di non lasciare che quel volto tremendamente bello mi abbindolasse, perchè non ero ancora del tutto certa della sua innocenza.

«Se metti giù Amy e aiuti anche me, te ne sarei grata.» Interruppe Ellison.

Sciolsi in fretta la presa per permettere a Jordan di aiutare sua sorella a scendere e camminammo veloci verso la sua macchina, parcheggiata poco distante dal Fairwinds. Le luci spente alle finestre delle case vicine lasciavano intendere che il vicinato fosse ormai caduto nel sonno più profondo, ma dovevamo fare silenzio, per non svegliare nessuno. La nostra notte ribelle era appena iniziata e le palpitazioni che sentii accelerare nel mio cuore ne erano la prova. Stavo infrangendo le regole, e ne ero fiera.

Nel tragitto in auto nemmeno Ellison riuscì a spezzare l'imbarazzo che si era creato nell'abitacolo pregno del profumo di Jordan. Avevo guardato fuori dal finestrino per quasi tutto il tempo, osservando il succedersi dei lampioni superati uno ad uno, canticchiando sulle note dei Queen, che Elly aveva scelto per il tragitto. Nemmeno Jordan proferì parola, teneva lo sguardo vigile sulla strada, ma qualche volta lo colsi a lanciarmi una fugace occhiata dallo specchietto retrovisore. Contatti così rapidi da non capirne a pieno il significato.

«Eccoci!» Esclamò Ellison quando sulla strada che costeggiava il mare vedemmo un enorme resort dallo stile moderno e dagli intonaci candidi. Una volta lasciata l'auto al parcheggiatore ed entrati per l'accesso prioritario, mi ritrovai per la prima volta di fronte a quella che doveva essere una discoteca: una enorme sala scura, illuminata solo dalle luci colorate che ad intermittenza mi mostravano una pista da ballo in cui i ragazzi ballavano scatenati al ritmo dettato dal dj, che li incitava dalla consolle sopraelevata. 

«Vado a ballare con Amelia!» Disse saltellando Ellison, che mi prese per mano per portarmi in mezzo alla bolgia. Era più euforica del solito, continuava ad aggiustare la lunga fila di bottoncini che chiudevano sul ventre il vestitino in denim prestatole da Lisa.

«Alle 3:00 ci troviamo all'ingresso, vi devo riportare al Fairwinds.» Rispose Jordan, ma Ellison nemmeno lo sentì.

Ci facemmo strada tra la bolgia, seguendo l'accrescere della musica e fermandoci vicine all'amplificatore acustico. Vidi Ellison cercare di dirmi qualcosa e iniziare a muoversi, ma la musica era così alta che mi era impossibile sentirla.

Così chiusi gli occhi e mi abbandonai al ritmo della musica house del Wave. Non c'era spazio per nessuna Amelia-pattinatrice, nessuna Amelia-figlia modello, nessuna Amelia-malata. C'era spazio solo per una me che assaporava per la prima volta la normalità dei miei coetanei, una me che aveva lasciato oltre la siepe del Fairwinds qualsiasi tipo di aspettativa nei suoi confronti.

Fu lì, nel mezzo della calca, che ebbi un primo assaggio di normalità. Senza nessuna coreografia prestabilita mi lasciai guidare dai battiti della musica. Improvvisavo tenendo il ritmo con i piedi, le braccia al cielo, il cuore libero e l'anima in festa. Scoprii che mi piaceva seguire l'istinto, così tanto che la mia bocca si tese in un sorriso spontaneo: una nuova Amelia. Chi l'avrebbe mai detto.

Non ero stanca, ballavo, ballavo e ballavo, e sentii che non ne avrei mai avuto abbastanza. Andava tutto incredibilmente bene, finchè non sentii una mano possente che mi agguantò il ventre e mi strinse a sè, costringendomi a seguire un nuovo ritmo.

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