27- 𝙀𝙭𝙞𝙩, 𝙍𝙪𝙣 44- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯

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Ellison mi aveva rubato una felpa.

 Amelia me l'aveva rovinata. 

Ma ricordavo bene il primo incontro, quando lei era scappata da me in lacrime. E l'averla vista corrermi incontro felice, per una volta, mi aveva fatto desiderare di farle scarabocchiare tutte le mie felpe. Una macchia per un sorriso.

Aveva trovato il coraggio di staccarsi da Audrey, che meritava di vedere il suo tesserino di allenatrice strappato in mille pezzi.

In tutti i corsi per diventare allenatore che avevo fatto, veniva sempre ribadita l'importanza del benessere psicofisico degli atleti, prima ancora della prestazione atletica.

E lei se n'era fregata, arricchendosi sulla salute dei suoi atleti.

Gli abusi erano pettegolezzi sulle bocche di tutti. Erano voci così indicibili che nessuno gli aveva mai dato il giusto peso, perché le atlete in pista erano sempre così brave, pulite e sorridenti che era impossibile che quelle cose succedessero davvero. Sembravano atlete normali, come tutti. Ma la conferma ufficiale io l'avevo avuta quel giorno al molo, quando le chiesi di pattinare con me per la stagione agonistica.

Avrei davvero pattinato insieme ad Amelia.

Non sapevo se sarei riuscito a portarla al mondiale, ci volevano anni per la costruzione di una coppia di livello e noi avevamo solo pochi mesi per prepararci. Dalla nostra c'erano solo  l'esperienza e la volontà di farcela. Sapevo che era il suo sogno, e ce l'avrei messa tutta. Ma almeno, ero certo che nelle ore in pista non l'avrei fatta soffrire.

Io e Martina ci eravamo accordati. Non come madre e figlio, ma come due allenatori che prendono ufficialmente in mano un'atleta con un bagaglio difficile come il suo, dove la priorità era quella di dare precedenza allo stato mentale prima ancora che a quello fisico. Stavamo andando incontro a mesi di allenamenti sfiancanti, senza avere alcuna certezza sul risultato. Anni di gare mi avevano insegnato che per quanto gli atleti si impegnassero costantemente durante la stagione agonistica, tutto si giocava in gara, nel giro di quattro minuti e trenta secondi. Un tempo troppo ristretto per dimostrare il lavoro svolto. 

E mentre tutte le altre coppie rivali erano nel pieno della preparazione dei due programmi di gara, con musiche e difficoltà già stabilite, noi dovevamo ancora scegliere tutto. Amelia avrebbe dovuto iniziare da un breve recupero in palestra.

Mentre facevo di continuo colloqui che mi aiutassero a cercare un valido collaboratore senza trascurare gli atleti che seguivo, mi accorsi che Amelia all'Arhena era la distrazione più grande che potessi mai immaginare. La squadra di football il primo giorno sembrava addirittura volesse cambiare sport. Avevo dovuto ignorarla, per non dare credito alle battutacce da quattro soldi che avevano iniziato a fare dopo aver saputo che sarebbe stata la mia nuova partner.

Lei si allenava duramente senza guardare in faccia nessuno, iniziava una serie per poi passare subito alla successiva. Scalpitava nell'attesa di poter tornare di nuovo in pista, e non sapeva nemmeno cosa l'avrebbe attesa.

Era visibile a occhio nudo che era fatta per l'agonismo.

Ero io a non essere fatto per quei completini sportivi striminziti che le delineavano ogni curva e che lasciavano intravedere quella linea addominale che iniziava ad avere un aspetto sano e non più scarno. Dovetti guardarla il meno possibile, anche se quando Xavier aveva interrotto l'allenamento per andare a chiederle il numero mi sentii per la prima volta investito da una gelosia passeggera che mi lasciò libero solo nel momento in cui Amelia mi riferì che gli aveva scritto numeri a caso.

Il giorno successivo, dopo aver impostato il riscaldamento della squadra di hockey, vidi Amelia fare il suo ingresso in palestra come mai avrei pensato. All'allenamento precedente aveva esagerato, ed entrò camminando lentamente, con le gambe dritte e inamovibili.

RESILIENTWhere stories live. Discover now