29- 𝙄𝙣𝙘𝙪𝙗𝙪𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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Jordan e il tempo risultavano probabilmente il peggiore degli ossimori, come se stonassero all'interno della stessa frase. Avevamo una spada di Damocle sulla testa, perché ogni volta che sembravamo far passi avanti questa iniziava a oscillare per ricordarci che il nostro tempo era finito e che doveva riportarmi in orario al Fairwinds, altrimenti la crina si sarebbe spezzata e il permesso che gli era stato dato per accompagnarmi agli allenamenti sarebbe stato revocato con effetto immediato.

Dopo avermi riaccompagnata Jordan aveva raggiunto la sua famiglia in aeroporto, ma se Elly non aveva saputo dirmi niente sulla loro destinazione, lui non aveva voluto dirmelo. Diceva che me l'avrebbe fatto sapere alla consegna dei telefoni, quella sera stessa, lasciandomi ancora una volta a farmi divorare dalla curiosità. Sembrava ci stesse prendendo gusto a tenermi sempre sulle spine.

Ma appena rientrata in clinica, sapevo di avere un compito che avrei voluto ritardare il più possibile: l'accoglienza della mia nuova compagna di stanza. Allo stesso modo in cui Ellison accolse me quando varcai le soglie del Fairwinds, era arrivato il mio turno e speravo di fare una buona impressione, di far sentire la nuova arrivata a suo agio in quella che sarebbe stata la sua casa nei mesi a venire.

Entrata in stanza con l'idea di prendere il necessario per una doccia veloce, la trovai spoglia di qualsiasi passaggio di Ellison. Sembrava non fosse mai esistita.

Il letto fresco di lenzuola pulite,  il comodino con un nuovo grande vaso dipinto a mano tappato da una composizione di fiori realizzati con perline colorate e due valigie ancora da disfare vicino all'armadio. La nuova paziente era probabilmente al piano superiore per le prime visite, così ne approfittai per prendermi del tempo in solitaria.

Assorta nel guardare i dettagli di quella parte di camera rinnovata, mi accorsi che mi era rimasto poco tempo e corsi in bagno per lavarmi. Quando rientrai in stanza, le valigie erano state aperte sul letto e la nuova ragazza mi dava le spalle mentre impilava i vestiti nei ripiani dell'armadio con un ordine che non ero abituata a vedere. 

«Ciao! Io sono Amelia.» Mi presentai.

Quando si voltò, mi fu impossibile non restarne impressionata. Vivevo da più di due mesi in mezzo a dieci ragazze che soffrivano di disturbi alimentari: bulimiche, anoressiche, disturbo da alimentazione incontrollata. Sapevo che le mie compagne erano più o meno tutte a un buon punto nel percorso, ma la nuova ragazza rappresentava il lato della malattia più estremo.

Era magra, di un magro che non avevo mai visto dal vivo, quel magro che in passato era stato usato negli spot pubblicitari per sensibilizzare le persone su questo tipo di malattie. Le gambe erano coperte da un leggins sicuramente taglia baby che era comunque troppo largo per quelle gambe di cui era rimasto solo l'osso e a malapena le fasciavano il ginocchio nodoso. Il viso era così scarno che le guance vuote mettevano ancor più in risalto la dentatura sporgente e due enormi occhi neri, nascosti dalla frangetta ramata. 

Quando mi porse la mano scheletrica, la manica dell'enorme t-shirt che le nascondeva il busto si sollevò, scoprendo una fasciatura all'altezza del cuore da cui fuoriusciva un piccolo tubicino chiuso da un tappo blu. Cercai di essere discreta, spostando l'attenzione ai suoi occhi.

«Sono Karmen.» Mi rispose con un filo di voce.

«Benvenuta! Devo farti un discorsone sulle regole di questo posto.» Iniziai ricordando le esatte parole di Elly. 

Non sapevo bene come parlarle, perché aveva gli occhi così spenti da lasciar trasparire solo l'apatia. Mi sedetti ai piedi del suo letto, per spiegarle tutte le regole del Fairwinds. Le raccontai del momento dei pasti, degli orari dei bagni, dell'assenza degli specchi e del divieto dell'utilizzo dei cellulari al di fuori delle due ore prestabilite. Ascoltò tutto restando in piedi, senza porre alcuna obiezione, finché non fece una sola, unica, domanda:

RESILIENTWhere stories live. Discover now