19- 𝘽𝙤𝙩𝙝 𝙨𝙞𝙙𝙚𝙨 𝙨𝙘𝙝𝙚𝙢𝙚- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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Martina aveva lo scetticismo scolpito in un volto senza trucco incorniciato da un caschetto mesciato di biondo. Non era altissima, ma venne verso di noi con la schiena dritta dando alle sue Nike un ritmo spedito, le mani nascoste nelle tasche della felpa. Era una vera padrona di casa.

Più lei si avvicinava, più sentivo che le mie gambe volevano indietreggiare, fino a scappare. Iniziai a trattenere il fiato. Tremavo.

Quella camminata sicura fu interrotta da tutti i bambini che le andarono incontro festosi per salutarla. La circondarono in un abbraccio di gruppo, calpestandosi l'un altro. Gareggiavano tra loro per avere da lei un buffetto sulla guancia, una fugace carezza sul capo, un sonoro cinque.

Con i suoi piccoli atleti, Martina si aprì in un sorriso travolgente, dando attenzione a ognuno di loro. E quando sorrise, lo notai: aveva delle rughe nasolabiali accentuate dall'intercedere degli anni e il tono della pelle meno elastico rispetto alla gioventù passata, ma la dolcezza dei tratti somatici uniti al suo sorriso, erano stati senza alcun dubbio donati al figlio da un ottimo colpo di genetica.

«Jordan ci ha portato una fatina oggi!» Iniziò a spifferare Noah. Tra tutti, avevo capito che era il bambino più logorroico ed estroverso.

«Vi siete divertiti con lei?»

Non gli chiese se ero stata brava. Non gli chiese se avevano imparato cose nuove da me. Voleva solo sapere se con me si erano divertiti. Quando i bambini esplosero in un coro entusiasta di conferme, Martina mi guardò dritta negli occhi. Mi riservò il primo sorriso e, in un battito di ciglia, tutto lo scetticismo iniziale fu spazzato via.

«Sono contenta, bambini.» Era dolcissima. «Adesso però tornate a pattinare, così vi guardo.» Fu un invito che loro colsero immediatamente, e con diverse velocità tornarono a pattinare su tutta la superficie della pista. «Per piacere vai a seguirli tu, Jordan? Vorrei parlare un po' con Amelia.» Disse avvicinandosi a noi.

«Continuiamo dopo il nostro discorso.» Soffiò Jordan prima di andarsene. Non ebbi il tempo di rispondergli, perché in un attimo sfrecciò via, lasciandomi sola con sua madre.

Martina mi fece segno di seguirla verso la balaustra più vicina, in modo da non restarcene al centro della pista e lasciare così più spazio ai bambini.

«Non credo servano presentazioni tra noi due.» Iniziò. «Non abbiamo mai avuto occasione di parlarci, ma ci siamo sempre viste in giro per l'America, giusto?» Accennò un piccolo sorriso. Capii che, se io ero imbarazzata, lei non era da meno. Non capivo quel cambiamento repentino, perché quando entrò in pista tutto lasciava intendere che fosse sul piede di guerra.

«Giusto.» Dentro di me, mi stavo preparando all'esplosione della bomba. 

«E' un piacere averti con noi, Amelia. I bambini sono molto contenti di te.» Forse l'unica bomba era nella mia testa. Sembrava...sincera

«Sono molto dolci e gentili.» Ricambiai con la stessa moneta.

«Hai già allenato prima?»

«No, mai. E' la prima volta.»

Sollevò le sopracciglia stupita. «Non si direbbe. Sei portata, fattelo dire.» Chi, io?

«Come fai a saperlo?» Come poteva sapere come ero stata se era appena arrivata?

«La vedi quella panchina?» indicò il parco giochi oltre il campo da tennis. Scrutai con attenzione ogni angolo del parco finché mi soffermai a mettere a fuoco l'angolino segnalato dal suo indice. Lì, oscurata dall'ombra di due alberi, la vidi. Una panchina in ferro battuto dello stesso colore del prato. «Ero seduta lì dall'inizio dell'ora di allenamento.»

RESILIENTWhere stories live. Discover now