21- 𝙏𝙖𝙡𝙚𝙨 𝙛𝙧𝙤𝙢 𝙩𝙝𝙚 𝙡𝙤𝙤𝙥- 𝘑𝘰𝘳𝘥𝘢𝘯

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I capelli castani che sotto il sole rivelavano fili d'oro. Le gambe lunghe e snelle che non so nemmeno come facesse a coordinarle al resto del corpo per sfoderare dei salti di una potenza simile. La fila di piccoli punti luce costellati lungo l'orecchio che illuminavano ancora di più quel viso da bambina, come se ne avesse bisogno. E gli occhi, quegli occhi. Sarebbero stati in grado di ghiacciare il sole con un solo sguardo.

Amelia.

«Jordan?» Mio padre mi diede una gomitata, facendomi ripiombare nella realtà.

«Sì?»

«Il cameriere ti ha chiesto che pizza vuoi.» Disse ravvivando la capigliatura brizzolata. Se ne stava lì, a puntarmi gli occhi di quella mia stessa sfumatura di caramello, domandandosi in quale universo parallelo fossi finito.

«Scusi.» Finii di scorrere velocemente il menù che tenevo sotto gli occhi da non so quanto tempo, ma avevo la testa talmente incasinata che il gusto della pizza non mi interessava nemmeno. «Margherita e birra media anche per me, grazie.» Dissi passando il menù al cameriere.

Mia madre ci aveva messo vent'anni per trovare una pizza il più simile possibile a quella del Bel Paese. Ce l'aveva a morte con il marketing americano per aver aperto una marea di ristoranti in cui spacciavano per vera pizza italiana dei dischi volanti con qualche cucchiaiata di salsa al pomodoro quando di italiano avevano solo la foto pubblicitaria. Dopo anni di tentativi che l'avevano vista allungare sempre più il raggio di ricerca, l'aveva trovata una pizza soddisfacente: a un'ora da casa.

Aveva istituito la serata della pizza in famiglia: non importava che alle volte ci venisse da sola a causa dei nostri impegni lavorativi o di salute, cascasse il mondo lei una volta a settimana andava alla pizzeria da Domenico. In apparenza una bettola, era un locale dall'aspetto trasandato, con le pareti rivestite da perline in legno, tovaglie a quadri vecchie almeno di trent'anni e Louis Armstrong a ripetizione in sottofondo. Ma appena si varcavano le porte d'ingresso, il profumo di pane fresco ti inebriava.

«Va tutto bene, Jordan?» Chiese mio padre in punta dei piedi.

«Sì, sono solo stanco.» Mentii fingendo uno sbadiglio.

«Dovresti assumere qualcuno che ti aiuti in palestra. Te l'ho già detto tante volte, non puoi fare tutto da solo.» Aveva un'espressione apprensiva; nonostante viaggiasse molto per lavoro, aveva sempre voluto esserci per me e per Elly, senza mai risultare soffocante.

«Ho un prestito da estinguere, papà. Ricordi?»

«Ti abbiamo offerto aiuto, figlio.» mi canzonò sistemandosi il tovagliolo nel colletto della camicia inamidata. «Ricordi?»

«E' così brutto volercela fare da soli?» Sapevo che mio padre era abbastanza ricco da potermi aiutare. Mi sarebbe solo bastato chiederglielo. Ma lui aveva costruito il suo impero immobiliare con le sue forze, e lo avevo sempre ammirato per questo. Non volevo passare per il classico figlio di papà.

«No anzi, ti fa onore.» Si schiarì la voce. «Ma dovresti prenderti una pausa.»

«Quando sarò morto mi annoierò a furia di riposare.»

«Oh, non cominciare a fare il melodrammatico, Jordan. Sicuro che sia solo quello?» chiese mia madre giocherellando con i lacci della felpa.

«Sì.» No. Non è per niente quello, è tutt'altro.

«Guardami.» ordinò.

«No.»

«Hai paura che ti becchi?» Non risposi, perché mia madre era un segugio in queste cose.

Infatti le bastò un solo secondo. Un'occhiata veloce, un incontro di sguardi non voluti mentre il cameriere posava i bicchieri di birra al nostro tavolo, perché subito mi beccasse.

RESILIENTWhere stories live. Discover now