10- 𝙊𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙣𝙖𝙩𝙪𝙧𝙚 𝙤𝙛 𝙙𝙖𝙮𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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Sentii il mio mondo farsi un posto un poco più stretto. Come se non ci fosse più spazio per me. Com'era possibile che mia madre di fronte ad un invito fatto nel modo più cordiale possibile, una proposta fatta per aiutare me, sua figlia, a stare meglio, rispondesse in quel modo?

Percepii la vergogna germogliare in me, in modo rapido, crudele e infestante. La Cameron aveva un'espressione sconvolta dipinta in volto, e la vidi trattenere con tutte le sue forze qualsiasi risposta impulsiva: stava ponderando una replica assertiva, che nonostante andasse contro il suo carattere doveva necessariamente seguire l'etica professionale. 

Quando la bomba esplose, spostai la sedia in modo indelicato, facendola stridere contro il pavimento: avevo superato il limite di tolleranza, non me ne fregava più niente. Non aveva senso restare lì, ad ascoltare mia madre mentre peccava di superbia di fronte ad una figura esperta, gentile e preparata. Presa da un impeto di rabbia me ne andai, senza proferire parola. Che tanto, Catherine aveva più volte dimostrato di averne per tutti.

Scesi di corsa le scale, andando a sbattere contro una parete che, con gli occhi appannati dalle lacrime non vidi, e corsi in camera, nascondendo la testa sotto il cuscino per dare libero sfogo al pianto che mi teneva la gola serrata. Ma la solitudine che tanto bramavo durò ben poco.

«Amelia, posso?» disse una voce fin troppo squillante. «Non dovevi andartene in quel modo, sei stata scorretta. Possiamo parlarne?» Chiese mia madre, che mi aveva seguita come nulla fosse successo. Come se quella domanda, non fosse mai stata pronunciata dalle sue labbra. Entrò in camera, pur senza attendere la mia risposta.

«Vattene, per piacere.» Ero ben consapevole che queste non fossero le risposte che ci si aspettava da me, sempre educata, rispettosa e non polemica.Ma non avevo più voglia di ascoltarla, non avevo più voglia di cedere alle sue convinzioni assurde, fatte di idee e manie di protagonismo che la facevano spesso schizzare in cima alla classifica delle stronze.

«Come ti permetti di parlarmi così, dopo che mi sono fatta quattro ore di viaggio per vederti?» Disse scioccata. Piccola novità: accecata dalla rabbia, mi erano indifferenti le sue accuse, e scoppiai, come non mi era mai successo.

«Mi permetto di parlarti così perchè non ti metti mai in discussione. Io sono chiusa qui, a dover riprogrammare la mia vita, e tu non mi offri il minimo aiuto. Sono tua figlia, cazzo, mamma. Ti servo solo per vantarti dei buoni voti e delle medaglie?» Era riuscita a portarmi all'esasperazione, ed ero un fiume in piena, senza freni sulla lingua.

«Datti una calmata, Amelia. Subito.» Provò ad ordinare severa.

«Vattene. Ti prego mamma, vattene, e lasciami sola.» Dissi lapidaria.

«Me ne vado.» Concluse con sdegno.«Ma sappi che aspetto una chiamata di scuse, quando ti sarai calmata.» Non risposi alla sua affermazione: se c'era una cosa che avevo imparato vivendo con lei, era che l'ultima parola doveva essere tassativamente la sua. Avrei fatto qualsiasi cosa, in quel momento, purchè andasse via, così non le risposi. Pochi attimi dopo, la sentii girare i tacchi e andarsene con passo nervoso, finchè non sentii più lo scampanellare dei braccialetti. Finalmente, se n'era andata. Non l'avrei certo richiamata.

Rimasi con la testa sotto il cuscino, ad aspettare che finisse l'orario di visita per uscire allo scoperto. «Io posso entrare, Amelia?» Distinsi chiaramente la mia voce magica preferita, e non ci pensai due volte a sedermi sul letto ad aspettarla, abbracciandomi le ginocchia con gli occhi gonfi ed il volto sicuramente affranto.

«Ha sentito tutto?» domandai, sperando in una risposta negativa.

«Per filo e per segno. E' una tipa decisa, tua madre, eh?» Era impressionata.

RESILIENTWhere stories live. Discover now