▷ ventitre

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Quel giorno andai a scuola con Jeremy, il quale aveva ancora il viso martoriato dalle botte prese da Travis.

Ai nostri genitori aveva raccontato di essere stato aggredito da un gruppo di ragazzi che avevano cercato di rubargli il portafoglio e grazie a quella bugia, avevano smesso di riempirlo di domande sul perché il suo volto fosse un miscuglio di ematomi di vari colori.

Di quanto era successo alla festa ― sia quella di sabato che quella di un anno e mezzo fa ― non ne parlammo più, anzi fu proprio Jeremy a non ritornare sull'argomento. Forse aveva capito quanto mi facesse stare male riparlarne.

Slacciai velocemente la cintura, quando vidi comparire davanti alla mia visuale l'edificio scolastico. Jeremy invece svoltò verso il parcheggio e si fermò nel suo posto prestabilito in quanto giocatore di football della nostra scuola, parcheggiando tranquillamente l'auto.

«Non metterti nei guai, va bene?», ci dicemmo in coro, puntandoci a vicenda un dito contro poi scoppiammo a ridere; era raro che pensassimo la stessa cosa.

«Te lo prometto», mormorai con sicurezza, o almeno era quello che stavo cercando di mostrare, nel frattempo speravo non succedesse niente quel giorno a scuola. Non avevo voglia di sentire o assistere ad altri litigi.

Jeremy mi mostrò un sorriso, le labbra incurvate all'insù e gli occhi quasi ridotti a due fessure poi mi diede in buffetto sul naso che in automatico, me lo fece arricciare e aprì lo sportello dell'auto, mormorando un «cercherò di fare il bravo».

Una volta fuori dalla macchina di mio fratello, cercai con lo sguardo le mie amiche ma non le trovai. Vidi solamente Priscilla parlare col suo fidanzato, ma di andare da loro proprio non se ne parlava.

Un ragazzo ci corse in contro e dallo sguardo da allucinato che aveva dipinto sul viso butterato di brufoli, capii che era successo qualcosa. Il ragazzo non era altri che Philip Baker, il figlio dello sceriffo Baker.

Jeremy mi fu subito accanto, avvolgendo un braccio intorno alle mie spalle per sicurezza. Gli mostrai un sorriso di gratitudine.

«Ragazzi avete saputo di Travis?», al solo sentire pronunciare quel nome, un brivido di paura mi percorse la schiena poi scossi il capo, fingendo di non sapere, «È stato ricoverato d'urgenza all'ospedale. Dicono che sia stato assalito da un gruppo di persone e che sia conciato veramente male. Hanno detto che il viso è quasi irriconoscibile e che ha molteplici fratture per tutto il corpo. Quali personi farebbero una cosa del genere? Che schif― Oh, cos'è successo al tuo viso?», domandò infine a mio fratello.

Jeremy fece spallucce, fissando con indifferenza il ragazzo di fronte a noi, «Più o meno la stessa cosa. Sono stato aggredito anche io.» Bugia.

Il ragazzo socchiuse le labbra screpolate ed enormi poi sbatté velocemente le ciglia, totalmente scioccato da quanto avesse detto mio fratello, «Quindi non è un caso unico... Investigherà anche mio padre, d'altronde è lo sceriffo della città.»

«S-saranno i soliti cretini... Non penso che tuo padre debba scomodarsi in questo modo», ero nel panico. Se il padre di Philip dovesse incominciare ad investigare, verrebbe fuori il nome di mio fratello? Finirebbe nei guai per colpa mia? No... Non volevo, dannazione!

«È il suo lavoro. Ora devo andare a chiedere in giro se qualcuno ha visto o sentito qualcosa. Ciao.»

Il ragazzo se ne andò e io e mio fratello ci scambiammo subito un'occhiata preoccupata, ma poi lui scosse il capo e mi sorrise.

«Andrà tutto bene. Nessuno scoprirà niente e poi potrei sempre dire il motivo per cui ho aggredito quel figlio di puttana», digrignò i denti dal nervoso; non lo avevo mai visto così furente per qualcosa che c'entrasse con me e la cosa in parte mi faceva piacere, ma per colpa mia aveva fatto una cosa che se scoperta, avrebbe distrutto il suo futuro ed era una cosa che io non avrei mai voluto che accadesse.

Falling for a ChallangeWhere stories live. Discover now