2. ʙᴀᴅ ᴀᴄᴛʀᴇss

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Il pomeriggio seguente Charlotte si stava recando alla Continassa a piedi, facendo esattamente lo stesso percorso che aveva fatto la sera precedente per sfogare la sua ansia.

Stava mangiando una gomma da almeno mezz'ora, aveva il cappuccio sulla testa e la musica nelle orecchie.
Il mattino aveva fatto un pessimo allenamento, mister Piccini l'aveva notato e le aveva chiesto spiegazioni.
Charlotte se l'era cavata dicendo che aveva dormito poco, il che era vero: aveva avuto un paio d'ore di sonno a causa di tutti i pensieri che le frullavano nella testa.
Forse era vero, lasciare l'Inghilterra era stata una brutta idea, lasciare tutto il suo gruppo di amici, abbandonare gli studi e concludere la storia con Julian solo il giorno prima dicendo "domani parto per l'Italia".
Parlare di Julian le faceva male e per questo il discorso veniva spesso evitato, soprattutto dalla famiglia.

Giunta alla Continassa, prese il pass dallo zaino che portava su una sola spalla e lo mostrò allo steward, che senza alcuna replica la lasciò entrare.

Era la prima volta che vedeva il Training Center Maschile, e con sguardo leggermente stupito si guardò attorno prima di vedere alcune persone continuare a fare dentro e fuori da una porta che presumibilmente portava al vero e proprio centro sportivo.

Prese il telefono e chiamò Kristin.
«Kri, dove sei? Non so dove cazzo devo andare.»

«Sono qua fuori, sto arrivando.» disse solo prima di riattaccare.

E infatti, voltandosi, Charlotte vide arrivare la ragazza, i capelli di solito raccolti durante l'allenamento ora le cadevano sulle spalle.

«Mi pare tu sia di umore nero quanto i tuoi capelli. - commentò la ragazza - E per di più hai fatto pietà stamattina.»

«Ho discusso con i miei ieri sera. - spiegò Charlotte, togliendosi un auricolare e avviandosi verso il centro. Anche fuori dal campo, Kristin era la sua migliore amica, o perlomeno l'unica persona con cui avuto modo di fare conoscenza fuori dall'ambiente sportivo, ed era quindi l'unica a cui raccontava della sua vita fuori dal campo. Quella vita che, forse, non era così bella come sembrava - Ho passato una nottataccia. Sono solo stanca.»

«Perchè avete discusso?» chiese Kristin.

La ragazza fece schioccare la lingua contro il palato.
«Vogliono festeggiare il Ringraziamento domani, ma io non posso. Loro insistono che ci sia anche io e che sacrifichi qualcosa. Ma Kris, io ho già sacrificato tutto: ho lasciato a Manchester tutto ciò che avevo di più caro. Il calcio è l'unica cosa che mi rimane.» rispose, osservando un pallone che rotolava verso di lei e prendendolo di collo, per farlo alzare e fargli fare una parabola che finì nella porta del campetto lì di fianco.

Un uomo, probabilmente un collaboratore che sostava in quel campetto, alzò lo sguardo e la osservò quasi ammirato.

«Sei libera di fare quello che vuoi, Charlie. La vita è tua. Il futuro è tuo.» le disse solo Kristin, lasciandole carta bianca, appena prima di entrare nella porta a vetri.

Le due ragazze si guardarono attorno, e gli occhi di Charlotte si posarono su Aurora Galli e Barbara Bonansea, che si stavano avviando verso un corridoio.
L'americana diede di gomito a Kristin e le due decisero di seguirle.

Giunsero in una specie di sala congressi, dove davanti ad una cattedra con una lavagna multimediale vi erano parecchie sedie.

Charlotte fermò la musica e tolse gli auricolari per metterli in tasca, quindi si abbassò il cappuccio.
Mise le mani in tasca mentre prese posto insieme a Kristin, in una delle file centrali.
Charlotte posò i piedi sulla sedia davanti e continuò a fissare la cattedra chiedendosi chi sarebbe arrivato in seguito.
Non c'erano molte persone nella stanza: erano occupate solo le prime due file davanti, quindi saranno state tipo una quindicina di persone, probabilmente tutti a che fare con la regia e la pianificazione dei video natalizi.
Di giocatori, a parte loro due, Galli e Bonansea non vi era ancora nessuno.

𝐍𝐄𝐕𝐄𝐑 𝐆𝐎 𝐀𝐖𝐀𝐘 || Weston McKennie Where stories live. Discover now