4. ᴛʜᴀɴᴋsɢɪᴠɪɴɢ

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Erano le nove del mattino quando Charlotte si decise a uscire da camera sua: non aveva dormito molto, più che altro si era sfogata durante la notte finché non si era addormentata, e non avendo allenamento si decise a recarsi in cucina ancora con il pigiama addosso.
Sua madre stava cucinando ai fornelli.

«Happy Thanksgiving, mum.» esordì lei, accennando un sorriso che probabilmente si sarebbe visto lontano un chilometro quanto fosse forzato.
Per fortuna, la madre era di schiena; si voltò solo in seguito, e ricambiò il sorriso mestamente.

«Buon Ringraziamento anche a te, figliola. Scusami per ieri. E anche per il giorno prima. Sai come sono fatta... sì, insomma, il significato che questo giorno ha per me.»

«Non devi scusarti, mamma, capisco. Ehm, se tu volessi, piuttosto che fare un pranzo... possiamo fare una cena... noi quattro. Questa sera.» propose, sperando di rimetterla di buon umore.

Il sorriso che la madre le rivolse poi fu raggiante.
«Lo faresti davvero?» domandò.

«Beh, è pur sempre il Ringraziamento. - disse, e dal sorriso della madre capì che la proposta era stata accolta - Io oggi pomeriggio devo andare via presto, ma per le cinque circa dovrei essere qui, perciò la cena preparala pure quando vuoi.»

La madre annuì ripetutamente.

«Che stai cucinando lì?» chiese Charlotte, avvicinandosi e poggiando il mento sulla spalla della madre.

«Tacchino. Spero sia gradito.» commento retorica, sapendo quanto la figlia amasse il tacchino del Ringraziamento.

«Ti do una mano a preparare il puré di patate.» sentenziò lei, arrotolandosi le maniche.

«Ma la colazione...» iniziò la madre, ma la ragazza la interruppe scuotendo il capo.

«Non ho fame, mamma.» fece in un sorriso, prima di mettersi al lavoro.

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Poco dopo pranzo Charlotte era partita con lo zaino in spalla e il maglione di Natale sotto al giubbotto pesante verso la Continassa, con gli AirPods e la gomma da masticare che ormai era più che un'amica: masticarla era quasi un gesto nervoso, così come al college masticava i tappi delle penne.

Giunta presso il Center trovò il cancello aperto, e vide arrivare dalla direzione di fronte alla sua una Jeep che svoltò dentro il cancello che iniziò poi a richiudersi.
Charlotte si affrettò e corse dentro, per poi mostrare il cartellino allo steward, lo stesso del giorno precedente.

Cercò con lo sguardo la macchina che era appena entrata, ma era difficile distinguerla, dato che erano tutte Jeep e poche di altre case automobilistiche.
Tuttavia, mentre si incamminava verso l'edificio, vide un uomo uscire dal parcheggio: incredibilmente reale Cristiano Ronaldo.

«Cristiano!» chiamò lei, e senza rendersene conto accelerò il passo per raggiungerlo.
Egli si voltò con espressione seria, e vedendola accennò un sorriso.

«Sei l'americana, giusto?» domandò inclinando leggermente il capo, con un italiano misto allo spagnolo.

Charlotte sbatté il capo, incredula sul fatto che lui potesse ricordarsi di lei dopo il pomeriggio prima. Pensava che nonostante le sue battutine e la sua domanda sfacciata nella Sala Congressi fosse comunque un'anonima giocatrice del settore femminile, invece persino il portoghese l'aveva riconosciuta.

«Sì, sono io... Posso avere un autografo?» chiese guardandolo probabilmente con un'espressione stupita, sognante o qualunque altro mix di emozioni stesse provando. Non sapeva etichettare cosa sentisse, se non le mani che le tremavano mentre porgeva al numero sette bianconero il copione che Kristin le aveva portato la mattina stessa, riguardo le brevi battute che avrebbe dovuto dire nella clip natalizia.

𝐍𝐄𝐕𝐄𝐑 𝐆𝐎 𝐀𝐖𝐀𝐘 || Weston McKennie Where stories live. Discover now