10. Father

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Zoey si morse il labbro inferiore e spostò lo sguardo per evitare di guardare Brandon, che continuava a fissarla senza toglierle gli occhi di dosso per un momento.

La ragazza si passò una mano sul collo. «Quindi, il numero di Kai?»

Brandon allungò il braccio aprendo il palmo della mano. «Dammi il tuo cellulare».

Zoey tirò fuori il telefono dalla tasca posteriore dei suoi jeans e lo porse al ragazzo, che digitò velocemente il numero per poi salvarlo e ridare il cellulare alla proprietaria. «Tieni, ora puoi chiamare il mio fratellino quando vuoi». Fece un sorriso amaro. «Comunque abbiamo stesso turno anche domani e domenica».

Zoey sbuffò alzando gli occhi al cielo. Brandon era riuscita a risucchiarle ogni forza che aveva quella mattina e l'idea di dover lavorare altri due giorni con lui le faceva venire il mal di testa fino a farle scoppiare ogni vaso sanguigno che aveva nelle tempie. «Allora ci vediamo domani» si limitò a dire, mentre agitava svogliatamente la mano per salutarlo.

Brandon non ricambiò il saluto e la guardò allontanarsi verso la strada principale di fronte all'università.

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Un fischio richiamò l'attenzione di tutti i ragazzi sul campo. «Okay, ragazzi. Per oggi basta così!» Il coach Diaz batteva le mani, incitando i ragazzi a tornare negli spogliatoi. Brandon si asciugò con la maglietta il sudore che gli colava sulla fronte e sulle tempie, mentre seguiva i compagni di squadra dentro l'edificio.

«Parker» lo richiamò il coach.

Brandon si fermò e si voltò, per poi raggiungerlo. «Sì, coach?»

«Sei calato rispetto alla scorsa stagione» incrociò le braccia al petto, aggrottando la fronte. «Vedi di riprenderti il prima possibile, altrimenti non posso tenerti come capitano».

Brandon annuì. «Sono solo un po' arrugginito, coach. Farò del mio meglio». Forzò un sorriso, premendo le labbra una sull'altra.

«E per favore, smettila di uscire con mia figlia» lo implorò con una smorfia di disgusto.

Le guance di Brandon si colorarono immediatamente di rosso per l'imbarazzo e lui abbassò lo sguardo, limitandosi ad annuire. Ma sapeva che non l'avrebbe ascoltato, perché si vedeva con la figlia dell'allenatore quasi ogni giorno, a volte nella sua stanza, a volte in quella della ragazza. Si chiamava Ottavia ed era la capitana della squadra delle cheerleader del college. Tipico cliché da film americano. Era la tipica ragazza bionda e popolare con la coda di cavallo e il massimo dei voti.

Brandon entrò nello spogliatoio e si fece una doccia veloce per poi rivestirsi e sedersi sulle panche, tra le file di armadietti. La stanza si svuotò in poco tempo e tutti i suoi compagni di squadra uscirono uno dopo l'altro per tornare nei loro dormitori. Era ormai rimasto da solo e l'unico rumore che si sentiva erano le gocce di un rubinetto che perdeva. Il rumore di alcuni passi lo distrasse e Brandon alzò lo sguardo puntandolo verso l'entrata. Riconobbe subito la camminata e le gambe slanciate della ragazza, con la minigonna bianca e rossa e il top degli stessi colori con una B grande al centro.

Brandon sorrise e scosse la testa mentre osservava la ragazza avvicinarsi. «Mi sono appena rivestito».

Brittany fece spallucce e ridacchiò, prima di guardarsi attorno e sedersi a cavalcioni su di lui. «È inutile che fai finta di tirarti indietro» gli diede un bacio veloce. «Non ti crede nessuno».

Brandon si inumidì le labbra. «Tuo padre mi odierà, Ottavia» sussurrò stringendo i fianchi della bionda.

Lei gli prese il viso tra le mani. «E da quando ti importa cosa pensa mio padre?»

Torn // Kai ParkerWhere stories live. Discover now