11 - Andiamo a morire perché sí

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Doyle Ikuji Lucos

Martedì sera, Iku sgattaiolò fuori di casa sua. Quella mattina non era andato a scuola per seguire i suoi genitori ad un convegno, aveva tenuto il plico di fogli a suo padre durante il discorso, aveva fatto da valletto porgendo l'acqua a sua madre non appena tossiva, e aveva sorriso davanti alle telecamere fino a farsi venire male ai muscoli delle guance.

Voglio un vacanza, pensò Iku uscendo dalla porta sul retro della cucina, se non si fosse dato una mossa altro che vacanza, avrebbe vinto un volo in prima classe per l'altro mondo.
Tornato a casa aveva dormito per tre ore, nel tentativo di recuperare tutte le ore di sonno che stava perdendo in quel periodo. Tra il lavoro a scuola come vicepresidente, la gang, i suoi genitori, la scuola, gli amici, lo sport gli sembrava impossibile avere un secondo per fermarsi un attimo. Non sapeva con che forza si reggeva ancora in piedi, eppure continuava imperterrito.

Una cosa alla volta, un passo dopo l'altro. Era stato Sam a insegnarglielo.

Prese il primo bus che passava, si sedette in uno dei tanti posti liberi. Erano passate le otto di sera, nessuno quasi prendeva più gli autobus verso Oakbridge. Il sedile di fronte a lui era impiastricciato di gomme da masticare probabilmente vecchie quanto sua nonna e dovette resistere all'impulso di vomitare la cena che non aveva mangiato.

Il bus attraversò con la sua andatura traballante il ponte e poco dopo si fermò, Iku era pronto a scendere per andare a bussare alla porta di Sam in cerca di cibo, quando una figura incappucciata salì sul veicolo e gli impedì la discesa.

- 'Sera.

- Ciao Sam.
Iku sorrise, le porte si chiusero e il bus ripartì prima che loro potessero sedersi. Rimasero in piedi appoggiati alle porte. Di gomme masticate lì non se ne vedevano. Iku tese la mano e abbassò il cappuccio di Sam prima che potesse scansarsi, aveva un livido sulla tempia.
- Che hai fatto?

- Ho preso dentro nello spigolo della finestra.
Iku non gli credette, ma non disse nulla. Si limitò ad ammirare sotto la luce fioca delle lampadine del bus i lineamenti delicati di Sam, la matita nera appena visibile che aveva messo sotto gli occhi e la piega dolce delle sue labbra.

- Ho fame.

- Andiamo a mangiare il Ramen di Tsushiko.
La proposta di Sam sembrò levargli dalle spalle due nottate insonni, una scarica di energia attraversò Iku che riuscì persino a sorridere.
- Hai comprato i vestiti che ti dicevo?

Sam annuì e indicò lo zaino logoro e nero che portava sulle spalle. Sembravano due ladri pronti a rapinare una banca: sussurravano piano, comunicavano con gesti complici e poche parole. E Iku amava alla follia quella tensione, quella adrenalina.

Il bus si fermò e loro scesero.
Erano al centro della periferia. Poco distante un'insegna al neon rappresentante un piatto di ramen lampeggiava ammiccante nella loro direzione. Si incamminarono in silenzio, prima di entrare si sistemarono entrambi il cappuccio sulla testa, visto quello che avevano in mente di fare lì, ad East Oakbridge era meglio tenere un profilo basso.

Non appena entrarono nel locale vennero investiti da una forte luce giallognola e dall'odore penetrante del sake. Da Tsushiko era un piccolo ristorante, i posti al bancone erano tutti occupati, Iku e Sam si sedettero in un angolo, ad un piccolo tavolino. Il cameriere, un ragazzino mulatto con due penetranti occhi scuri e la statura di un tappo, fu subito da loro per prendere l'ordinazione. Non c'era molta scelta lì da Tsushiko, solo quattro piatti e spesso due dei quali non erano disponibili. Ordinarono entrambi il ramen e una coca cola.

Sam era particolarmente taciturno quella sera, guardava il nulla con aria persa e sembrava ignorarlo. Iku gli tirò un colpetto sul ginocchio da sotto il tavolo e riuscì ad ottenere un suo sguardo.

Devil town ||boyxboy||Where stories live. Discover now