TRAMA

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Hellen

Era seduto sulla panchina.

Demian non teneva in mano nessun telefono mentre stava da solo. Come se volesse stare in silenzio. Fuori dal mondo.
Le foglie dell'albero vicino la panchina erano quasi tutte cadute, lasciandolo spoglio. Nessuna foglia ingiallita ad adornarla.
Un lampione che faceva la sua solita luce calda, che stonava con i toni freddi di quel ragazzo seduto sulla panchina. Ma che si sposava alla perfezione con il ragazzo che l'aveva disegnata - Restian.

Lo scenario era lo stesso, ma io non ero vestita elegante. La mia non era una prima uscita.
Non lo ammirai fumare perché conoscevo bene ogni movimento.
La mia era un'uscita satura. Ormai consumata. Vista e rivista. Perché in me e Demian non c'era nulla di nuovo.

C'era un'abitudine che avevamo perso.
Quell'abitudine che quando non ce l'hai più,
ti senti perso.
Dimenticandoti cosa eri prima di lui.

Si stava alzando per raggiungermi ma fui io a raggiungere lui.

Si risedette e guardandoci, lui dal basso, io dall'alto, ci chiedemmo la stessa cosa: «Cosa ci fai qui?»

Sta scherzando? «Io? Tu che ci fai qui. È casa mia questa.»

«Ma va.» Fece un tiro. «Sapevo che dovevi andare al cinema con Candace, per questo sono venuto.» Sospirò la sigaretta chiudendo leggermente gli occhi a fessura e buttò il fumo più lontano possibile da me, ma il vento non mi era amico.

«E perché sei qui?»

«Ci ha invitati tua mamma.» Quindi Elizabeth era qui.

«A cena?» Perciò io dove dovrei andare a mangiare? Questa è bella. Sfrattata in casa mia.

«Si ma... Non ho molta fame.»

I nostri occhi si guardarono per un po', forse per troppo tempo. Sembrava stanco.

Portò il mozzicone sulle labbra e fece un altro lungo tiro con ancora lo sguardo addosso su di me. «Ti ho chiamata...»

«E io ignorato.»

Fece un ghigno. «Grazie.»

«A te.» Per averlo fatto anche tu con me.

«Ok, ora visto che sei qui, avrei delle cose da dirti. Possiamo parlare?» Indicò il posto accanto al suo. Era lì che stavamo spesso la sera, da soli, a guardare la luna.

Sospirai. «Va bene...» L'orgoglio quel giorno non voleva aiutarmi.

Mi sedetti, accanto a lui.
Mi fece spazio, senza dire una parola.
In realtà, non ne spendemmo neanche una, per più di dieci secondi, o forse di più.

Ci sistemammo uno di fronte all'altro. Mirò i miei occhi con un leggero strato di mascara, poi il mio naso, credo rosso per il freddo. Non passò alle labbra - le saltò - per guardare il collo e la catenina della solita collana con il ciondolo a forma di luna che lui stesso mi aveva regalato. Infine si soffermò sui lacci della mia felpa.

Nel completo silenzio, schiacciò la sigaretta sulla panchina per poi lanciarla nel posacenere da esterno. Con le dita imbrattate di nicotina e varie sostante, toccò i miei lacci, raddrizzandoli. E allora si che avrei sentito la sua sigaretta nei miei vestiti.

«Hai mangiato?» chiese, mettendo al posto le sue mani.

Demian sapeva che quando ero triste, in ansia, arrabbiata, o triste, l'appetito mancava.
Demian sapeva che avevo provato con lui tutte quelle emozioni, specialmente nell'ultimo periodo. Demian sapeva che piangevo davanti a ogni piatto quando mi aveva lasciata.

«Si, in libreria.» Demian sapeva anche quando mentivo. Il suo sguardo consapevole diceva tutto. «Cosa devi dirmi?» Cambiai argomento.

Fece un lungo sospiro, sembrava teso. «Hanno letto il mio romanzo e a quanto pare è piaciuto. Ti avevo chiamata perché volevo condividere questa notizia con te.»

Noah e Abby - Noi attraverso loroWhere stories live. Discover now