"BUONA LUNA"

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Hellen

Martedì; 17 Marzo

Ascoltai le condizioni, le lessi e firmai il contratto. Venni invitata anche a un party al college per incontrare i maggiori esponenti della Bloomsbury. Anzi, venimmo invitati: io e Demian.

Insieme, uscimmo da quella stanza e ci guardammo. Non volevo vedesse i miei occhi lucidi per l'emozione ma non riuscivo a trattenermi; avevo appena messo la firma sul mio sogno.

La sua mano, senza pensarci troppo, toccò il mio avambraccio e mi tirò verso il suo corpo.

Senza se e ma, avvolsi le mie braccia sul suo dorso e lui sulle mie spalle, accarezzandomi la nuca.

Scaricai tutta la mia tensione in quell'abbraccio, e gliene fui grata per aver capito che ne avessi così tanto bisogno.

Grata perché non mi allontanò subito una volta che capì che stavo piangendo per la gioia, e per l'ansia che mi stava abbandonando - almeno per un attimo.

«Ti sto bagnando la camicia...» dissi ridacchiando, mentre non riuscivo a smettere di piangere.

«Me la ricompri se me la macchi di quel coso nero che metti negli occhi» scherzò.

«Non credo di aver portato così tanti soldi per ricomprarti una delle tue camice» scherzai anch'io. «E poi sei uno scrittore, dovresti sapere che si chiama mascara

Pian piano mi allontanò dal suo petto, il giusto per mirare il mio viso. Asciugò le mie lacrime con i pollici mentre i suoi occhi non guardavano esse, ma le mie iridi.
«So solo che sei più bella senza.» Come se nulla fosse mi diede un pugno sulla pancia, o sul cuore.

Subito dopo mi diede un bacio sulla fronte. Lento. Umido. Pensai che avesse chiuso gli occhi; non potevo saperlo perché io avevo chiuso i miei.
«Ci siamo riusciti, Hellen» disse, una volta che rimise le labbra al suo posto: lontane da me. «Ce l'abbiamo fatta davvero» continuò.

Me ne diede altri di pugni, dovunque.
Era così violento da ricordarmi che dovevo scappare da quella violenza, altrimenti avrebbe lasciato i segni. I lividi. E avrebbero fatto male.

Lentamente, seguendo la linea del suo dorso e poi fianco, interruppi quell'abbraccio. Non so se fosse il modo giusto per interromperlo in quel modo - toccandolo in quel modo, come se fossi costretta a separarmi - ma sicuramente erano le mie emozioni a non avere controllo.

«Ti ho sporcato la camicia...» dissi avendone la conferma e aspettando che allontanasse le sue mani dalla mia mandibola. E lo fece, non prima però di aver dato modo alle sue dita di sfiorare il mio collo.

Era uno strano modo, il nostro, di terminare un'abbraccio.

Feci un passo indietro. Lui invece abbassò lo sguardo verso la sua camicia. Era bianca. Bianchissima, con una macchia nera sulla sinistra, adesso.

Demian mi lanciò un'occhiataccia, mantenendo un sorriso tra le labbra. «Dai andiamo a casa. Devo mettere la divisa. Oggi ho un esame importante.»

Un esame importante aveva detto. Mi chiesi come facesse a conciliare tutto. Aveva speso - o perso - tempo per venirmi a prendere: quattro ore andata a ritorno. Era rimasto sveglio fino a tarda notte per colpa del suo coinquilino - o mia. Si era svegliato presto per venire qui. Mi chiesi quando avesse trovato il tempo per studiare o ripassare.

Una volta arrivati a casa sua ed essere saliti nel suo piano, lui aprì l'armadio della sua stanza per prendere la divisa pulita, mentre io mi sdraiai sul letto, stanca, più che fisicamente, mentalmente.

Noah e Abby - Noi attraverso loroWhere stories live. Discover now