LEI

3.9K 180 171
                                    

Restian

«È qui che scopi con le ragazze?»

Hellen fece quella domanda a bassa voce, come se avesse paura di chiedermelo. Come se non ne avesse il diritto perché, effettivamente, noi non avevamo etichettato nulla, quindi, si, potevamo vedere altre persone.
Ma no, io non vedevo altre ragazze.

Non le davo questa certezza però, perché credo che la paura aumenti l'attaccamento a una persona.

Se hai paura di perderla, o se hai paura che possa sostituirti, fai di tutto per tenertela. E Hellen, che aveva sempre avuto certezze da Demian, non le avrebbe avute da me.

Volevo che quando non le chiedessi di uscire si chiedesse: "cosa fa?", "con chi è?", "ha di meglio da fare?". Volevo che quelle domande la tormentassero fino a quando avrebbe preso lei il telefono per chiedermi "vieni?", e allora io, da ragazzo che in realtà aspettava solo lei, sarei andato. Magari temporeggiando, arrivando una mezz'oretta dopo.

Hellen mi fece quella domanda con gli occhi all'insù per mirare i miei, a causa dei centimetri che ci dividevano.
E lei non capiva cosa mi provocava ogni volta che mi guardava in quel modo.
Quegli occhi mettevano d'accordo cervello, cuore e il muscolo che mi serviva per fare sesso con lei.

«Usi il presente?»
Glielo chiesi mentre il mio pollice sfiorò il suo labbro inferiore.

Mi dispiaceva per quelle ragazze che lo avevano fin troppo sottile.
Di sicuro madre natura aveva scelto di dare le labbra più belle a un'unica persona: lei.
Carnose e rosee naturalmente, tanto da non avere bisogno di nessun rossetto per colorarle, di nessun balsamo di quelle profumazioni nauseanti.

«Non dovrei?»

Ed ecco che Hellen cercava certezze che non aveva ancora ricevuto da me.
Perché non sapeva che da quando le mie labbra avevano toccato le sue, assaporando un sapore che non sapesse di fragola, o ciliegia, o che fossero appiccicose a causa di quei fastidiosi lucidalabbra, le mie labbra cercarono solo le sue.

Non sapeva che avevo troncato ogni conversazione superflua che serviva semplicemente a un fine: il sesso.

Per la pigrizia non avevo neanche cancellato le chat, semplicemente non le aprivo, neanche quando le notifiche segnalavano tre o quattro messaggi. Neanche quando dall'anteprima leggevo gli insulti come: stronzo, fai schifo, e cose poco poetiche.

Ma della poesia non ne sapevano niente.
Lei era poesia. E basta.
Le altre erano sempre e solo state carta senza testo.

«Non dovresti.» le dissi, portando il mio pollice sull'angolo della sua bocca per poi scendere verso il mento.

«Quindi è un no?» notai che guardò il mio avambraccio, o i miei tatuaggi, non so effettivamente cosa le piacesse così tanto da guardarlo spesso. Alzò di nuovo lo sguardo, mirando me «Non le porti qui?»

Le risposi mentre le lasciai il mento per toccare il suo collo con l'indice e arrivare a sfiorare la catenina della sua collana.
Una nuova collana, finalmente.

«Sei qui proprio perché non porto nessuno in questo piccolo posto.» toccai il ciondolo - un semplice punto luce - con l'indice e il pollice per infilare quella collana dentro il suo dolcevita nero.
Non avevo intenzione di togliergliela.
Volevo spogliarla e lasciarle quel gioiello, che mi avrebbe ricordato che aveva cambiato collana per me. Perché le avevo chiesto di sganciare quella collana con quel cazzo di ciondolo a forma di luna.

Noah e Abby - Noi attraverso loroWhere stories live. Discover now